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La Transumanza tra tradizioni, miti e leggende

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Oggi è stata la festa di San Michele Arcangelo, ma questa data un tempo era fonte di grande tristezza e dolore perchè coincideva con la partenza dagli Abruzzi di migliaia di uomini che iniziavano il cammino della Transumanza.

Il tratturo Magno lungo 244 chilometri veniva percorso in una settima circa per giungere alle locazioni della Puglia. Quegli uomini lasciavano le loro mogli ed i loro figli per 7 mesi sino all’otto maggio quando riprendevano il cammino per tornare sulle montagne abruzzesi.

Ma non vi voglio parlare dei pastori ma di altre figure che seguivano senza mai mostrarsi la lunga carovana di pecore e uomini vi voglio parlare dei SURVEGLIAND o Cavallari, uomini tra mito e leggenda.

Probabilmente tutti voi conoscete il termine “transumanza”. Transumanza, vuol dire pastorizia trasmigrante. La parola è composta da trans (di là da) e da humus (terra), come dire greggi che migrano “di là dalla terra (consueta)”.

Tale usanza di spostare greggi di migliaia e migliaia di pecore da un luogo ad un’altro per limitare il disagio delle avverse condizioni climatiche risale alla notte dei tempi. Tali “migrazioni” interessavano tutte le regioni dell’Italia centro meridionale, ed utilizzavano delle vere e proprie autostrade delle pecore, larghe ben sessanta palmi napoletani pari a 111 metri, chiamate “tratturi”.

Il più importante movimento di greggi era quello che avveniva tra gli Abruzzi e le Puglie, e che all’inizio dell’autunno portava milioni di pecore dalle montagne abruzzesi al tavoliere delle Puglie e sulla Murgia.

Dopo aver “svernato” da noi, agli inizi della primavera le greggi ripartivano per ritornare sulle montagne abruzzesi che assicuravano pascoli abbondanti. Ma se molto si sa della transumanza e dei tratturi, poco o nulla si conosce degli uomini che accompagnavano le greggi e che dovevano far fronte oltre alle avverse condizioni climatiche anche ai branchi di lupi che seguivano le greggi nella loro “migrazione” ed ai numerosi briganti pronti a rubare pecore ed agnelli.

I pastori non potendo usufruire di ripari in muratura per la custodia delle pecore, costruivano delle enormi recinzioni con gli spinosi cespugli di pero selvatico, erano delle vere e proprie barriere di spine alte sino a tre metri e quasi impossibili da superare, oltre alla recinzione a proteggere le greggi vi erano feroci cani acerrimi nemici dei lupi.

I pastori giunti nel territorio di svernamento, dormivano nelle “casiedd” dei trulli di pietra con una piccola apertura centrale che consentiva la fuoriuscita del fumo, infatti all’interno degli stessi venivano accesi dei piccoli fuochi per riscaldarsi e produrre ricotta e formaggi. Si nutrivano di ciò che la natura offriva loro oltre a scambiare i prodotti della loro attività, con vino, pane, olio, fichi e frutta secca.

In pochi forse sanno che gli era vietato uccidere e mangiare le pecore, infatti gli armenti non erano di loro proprietà ma dei “nobili possidenti abruzzesi” e guai a toccare un agnello o una pecora, la loro carne erano i funghi di ferula, un tempo numerosissimi e chiamati proprio “la carne dei pastori”.

Oltre ai pastori ( di solito venivano impiegati sette pastori ogni mille pecore) vi erano i “past’ricchi” dei ragazzi che avevano il compito di fiancheggiare le greggi per evitare che qualche pecora si smarrisse ed “U massor” che era a capo di tutti, decidendo su percorso e soste. Ma altri uomini seguivano e vegliavano sulle greggi e sull’operato dei pastori. Erano i cosiddetti “surv’gliand”, uomini tra mito e leggenda di cui si è ormai perso il ricordo e dei quali vi voglio parlare; erano al servizio dei nobili proprietari delle greggi ed avevano il compito di sorvegliare pastori e pecore, gli uni perché non venissero meno ai loro compiti e le altre affinché non diventassero facili prede di briganti e lupi. Seguivano le greggi in modo discreto cavalcando neri cavalli murgesi dalla lunga criniera, indossavano nere mantelle dall’ampio collo con una piccola catenella che le chiudeva sul davanti e tanto lunghe da ricoprire la sella, portavano lunghi stivali fin sopra al ginocchio e cappelli a falda larga per ripararsi dalla pioggia, spesso il viso era nascosto da folte barbe e baffi. Sotto la mantella nascondevano “lo schioppo”, un fucile ad avancarica di corte dimensioni molto simile ad un archibugio che veniva caricato con piccoli pezzi di ferro, oltre allo schioppo sotto la mantella veniva portata la borsa della polvere da sparo che insieme alla borsa del tabacco era la cosa più preziosa che possedevano.

Nel loro “armamento” vi era anche un lungo coltello somigliante ad una corta sciabola; erano uomini che non conoscevano il termine paura, malvisti dai pastori e temuti dai contadini dei paesi che li consideravano alla stregua di veri e propri diavoli erano condannati alla solitudine, infatti di notte sorvegliavano le greggi e di giorno dormivano in grotte ed anfratti di cui solo loro conoscevano l’ubicazione lungo il percorso della transumanza. Si nutrivano di ciò che riuscivano a procurarsi cacciando con trappole l’abbondante selvaggina che gli immensi boschi di un tempo offrivano loro. Lo schioppo era usato solo contro i lupi ed i briganti.

I pastori mal li sopportavano, ma la notte quando udivano i lupi ululare sapevano che c’era qualcuno che stava vegliando per loro, qualcuno che non vedevano quasi mai ma che era lì da qualche parte su di un nero cavallo a far la guardia a uomini e pecore. Sino a qualche decennio fa i pastori raccontavano che se sulle murge ti accadeva di ritrovare un vecchio ferro di cavallo arrugginito ed eroso dal tempo, dovevi custodirlo gelosamente perché era il ferro di un “surv’gliand” un amuleto che ti avrebbe permesso sonni tranquilli perché avrebbe tenuto lontani gli spiriti malvagi.

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