Confartigianato Puglia Archivi - Il Quarto Potere https://ilquartopotere.it/tag/confartigianato-puglia/ Le notizie sotto un'altra luce Wed, 14 Apr 2021 13:29:59 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.1 https://ilquartopotere.it/wp-content/uploads/2018/12/cropped-icona_512-32x32.png Confartigianato Puglia Archivi - Il Quarto Potere https://ilquartopotere.it/tag/confartigianato-puglia/ 32 32 Acconciatori ed estetiste alzano le saracinesche: “Ora basta, il nostro lavoro non è un gioco” https://ilquartopotere.it/economia-e-coronavirus/acconciatori-ed-estetiste-alzano-le-saracinesche-ora-basta-il-nostro-lavoro-non-e-un-gioco/ https://ilquartopotere.it/economia-e-coronavirus/acconciatori-ed-estetiste-alzano-le-saracinesche-ora-basta-il-nostro-lavoro-non-e-un-gioco/#respond Wed, 14 Apr 2021 13:29:59 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=11320 Domani, in tutta la regione, manifestazione “bianca” delle imprese del benessere aderenti a Confartigianato. Dalle 9 alle 13 acconciatori ed estetisti pugliesi alzeranno le saracinesche dei propri saloni e apriranno le porte dei propri studi non per lavorare – in conformità alle regole della zona rossa, ovviamente, non verrà accolta la clientela – ma per […]

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Domani, in tutta la regione, manifestazione “bianca” delle imprese del benessere aderenti a Confartigianato.

Dalle 9 alle 13 acconciatori ed estetisti pugliesi alzeranno le saracinesche dei propri saloni e apriranno le porte dei propri studi non per lavorare – in conformità alle regole della zona rossa, ovviamente, non verrà accolta la clientela – ma per protestare e gridare il proprio disagio con lo slogan “il nostro lavoro non è un gioco”.

Il riferimento è alle restrizioni, particolarmente prolungate nella nostra regione, che hanno messo in ginocchio un settore che in Puglia conta circa 10.000 imprese, in larghissima prevalenza artigiane.

Secondo il Centro Studi di Confartigianato Puglia, sono esattamente 9.664 le aziende attive del comparto tra «servizi dei parrucchieri e di altri trattamenti estetici» (con codice Ateco 96.02.00), «saloni di barbiere e parrucchiere» (Ateco 96.02.01), attività legate ai «servizi degli istituti di bellezza» (Ateco 96.02.02), imprese si occupano di «servizi di manicure e pedicure» (Ateco 96.02.03).
In base alle province, 2.931 operano in provincia di Bari; 1.079 in quella di Barletta-
Andria-Trani; 1.003 in quella di Brindisi; 1.249 in quella di Foggia; 2.155 in quella di
Lecce; 1.247 in quella di Taranto. La perdurante chiusura delle attività del benessere ha determinato, nel solo 2020, una perdita di ricavi per oltre due miliardi di euro (per la precisione, 2.104 milioni di euro).

Non è tutto: sulla base dei dati dell’Istat, si stima nei servizi alla persona un tasso di lavoro indipendente irregolare del 28 per cento. La chiusura di acconciatori e centri di estetica nelle aree rosse apre quindi sterminati spazi di domanda per un’offerta irregolare caratterizzata da un esercito di abusivi. Uno stato di cose che rischia di consolidarsi nell’immediato futuro, considerate le difficoltà economiche delle attività regolari.

“Abbiamo deciso di manifestare per incanalare ed esprimere un disagio ormai fortissimo all’interno del comparto – commenta Silvia Palattella, presidentessa degli
acconciatori di Confartigianato Puglia. I dati parlano chiaro: saloni di acconciatura, barberie e centri estetici non hanno alcun impatto rispetto alla crescita del contagio. Sebbene nei fatti siano le più sicure, nostre attività sono ritenute “pericolose” a prescindere e per questo siamo costretti ad abbassare la saracinesca. A fronte dei nostri continui sacrifici, però, non soltanto i ristori stanziati sono irrisori, ma anche i controlli sono del tutto inadeguati. Sappiamo tutti cosa accade nelle nostre città ogni giorno, con strade piene di gente e pochissimi presìdi: che senso ha chiudere le imprese quando invece, nei confronti della cittadinanza vige il „liberi tutti‟? Non possiamo tribolare ogni settimana: anche in zona rossa le nostre attività sono più blindate che piazze, case e strade. Ora basta, non ne possiamo più: il nostro lavoro non è un gioco”.

“La chiusura delle attività del comparto benessere è una vera e propria assurdità perché non soltanto è inutile ma addirittura dannosa in termini di controllo de contagio: ad andarci di mezzo non siamo solo noi imprenditori ma l‟intera comunità – continua Raffaella Semeraro, presidentessa degli Estetisti di Confartigianato Puglia.
I nostri saloni e i nostri centri estetici sono le attività più sicure in assoluto poiché, già in tempi normali, sono tenute ad adottare protocolli igienici di livello sanitario. Con
l’avvento del Covid abbiamo ulteriormente integrato le nostre procedure interne per
garantire la massima protezione nostra, dei nostri collaboratori e dei clienti.
Per ogni professionista che chiude c’è un abusivo che si mette in moto operando a
domicilio: questo sì è un rischio per la salute e amplifica la diffusione del virus, visto che per loro non valgono controlli né norme di sicurezza né, ovviamente, tasse e tributi.
Insomma, oltra al danno, la beffa. Ecco perché chiediamo di poter tornare subito a
lavorare: è una questione di sopravvivenza, di giustizia e anche di semplice buon senso”.

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Anche Corato è fra i Comuni nei quali il numero delle imprese artigiane si assottiglia anno dopo anno. https://ilquartopotere.it/news/economia/anche-corato-e-fra-i-comuni-nei-quali-il-numero-delle-imprese-artigiane-si-assottiglia-anno-dopo-anno/ https://ilquartopotere.it/news/economia/anche-corato-e-fra-i-comuni-nei-quali-il-numero-delle-imprese-artigiane-si-assottiglia-anno-dopo-anno/#respond Mon, 25 Nov 2019 20:51:19 +0000 http://www.ilquartopotere.it/?p=2952 Di Franco Bastiani C’è sempre un’Italia che funziona Anche Corato è fra i Comuni nei quali il numero delle imprese artigiane si assottiglia anno dopo anno. Certamente se ne iscrivono di nuove all’Albo provinciale presso la Camera di Commercio di Bari ma se ne cancellano di più, sicché, con il saldo negativo, l’ammontare residuo si […]

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Di Franco Bastiani

C’è sempre un’Italia che funziona

Anche Corato è fra i Comuni nei quali il numero delle imprese artigiane si assottiglia anno dopo anno.

Certamente se ne iscrivono di nuove all’Albo provinciale presso la Camera di Commercio di Bari ma se ne cancellano di più, sicché, con il saldo negativo, l’ammontare residuo si presenta in continua perdita.

All’inizio di ogni anno, le iscrizioni sembrano dover superare le cancellazioni, la qual cosa si pone come dato positivo.

Nel prosieguo e, soprattutto nell’ultimo trimestre, si registra il picco delle aziende che chiudono, e ciò si comprende bene perché dicembre funge da terminale per chi ha deciso di smettere, progettando un futuro diverso, spesso da pensionato.

Il secondo trimestre del 2019 ha visto in Puglia una contrazione considerevole di sedi di imprese manifatturiere: 173 iscrizioni e 382 cancellazioni; nello stesso periodo, male anche nella provincia di Bari con 63 iscrizioni e 205 cancellazioni.

Nel ramo “costruzioni”, relativamente alla Puglia e sempre nel secondo trimestre del 2019: sedi di imprese iscritte 679 contro 726 cancellazioni.

In provincia di Bari, per il suddetto comparto e nello stesso trimestre: 401 le cancellazioni e 240 le nuove iscrizioni.

Occorrerà attendere i resoconti di fine anno per un quadro definitivo dei movimenti relativi all’artigianato in cui – va subito detto – si stanno perdendo colpi a catena, con gravi ripercussioni sull’economia e, quindi, sulle famiglie.

Lo abbiamo sempre affermato: la gestione di un’azienda, oggi, comporta sforzi notevoli contro molossi imbattibili che vanno dalla pressione fiscale, agli adempimenti burocratici con impiego di tempo sottratto al lavoro, dai costi del personale a quelli per i materiali, dalla ricerca spasmodica di forme di finanziamento agevolato allo studio costante per l’aggiornamento professionale.

Tutto questo sembra interessare molto relativamente agli organi tenuti a trovare rimedi: annunci, proclami, promesse da chi costituisce la maggioranza in carica; inviti a ricordare tasse ridotte (???) da chi oggi è all’opposizione e ieri governava.

La verità è una e sacrosanta: a parte piccole agevolazioni e insignificanti contributi a quanti erano e continuano ad essere molto al di sotto della cosiddetta soglia di povertà, le tasse, nella loro complessa e composita massa, con solo non sono diminuite ma sono aumentate, diffondendo nella comunità nazionale un certo panico e spingendo ad un inquietante interrogativo: ci salveremo?

Ferruccio de Bortoli, già direttore del Corriere della Sera e del Sole 24 ore, è dell’avviso che, senza dubbio, “Ci salveremo”: così, infatti, il titolo del suo recente libro (senza interrogativo) nel quale tratta del presente e guarda anche al futuro con occhi benevoli, ipotizzando una riscossa civica che salverà l’Italia perché … perché vicende, questioni, persone, potenzialità in senso positivo esistono, ancorché in occulto.

Che vuol dire? Vuol dire che questo nostro Paese, caduto in disgrazia a giudizio di molti (forse di moltissimi), nasconde numeri eccezionali o quel semplice buon senso che i padri latini attribuivano al solerte pater familias, per rialzarsi e tornare ad essere veramente civile, veramente progredito, veramente in grado di convincere i giovani a non espatriare e, magari, di convincere a tornare quelli che sono già andati via.

Due milioni di persone si sono stabilizzate all’estero dal 2002 al 2017, in massima parte energie fresche e di elevata cultura: un patrimonio di intelligenze e di forze imprenditoriali che avrebbero fatto della nazione una vera grande potenza economica.

Ferruccio de Bortoli è convinto che, al di sopra e al di fuori del Paese in affanno di cui parla quasi quotidianamente il sistema dei media, esiste un Paese virtuoso che sa patire la cattiva politica, che sa sopportare le angherie di tasse e balzelli, che si industria nel silenzio e spesso nell’umiltà, ricorrendo ad iniziative semplici e lodevoli per andare avanti … riuscendovi.

Sembrerebbero gli epigoni di quegli italiani che strinsero i denti durante gli anni della guerra, lavorando senza clamore e in molte occasioni risparmiando pure sul minimo per accantonare risorse che seppero tirare fuori con i primi piccoli investimenti utili alla ripresa.

C’è un’Italia disciplinata che lavora come ha sempre fatto: ci sono migliaia e migliaia di contadini che all’alba raggiungono le campagne per raccogliere e per salvare i prodotti della nostra terra, ci sono migliaia e migliaia di piccoli artigiani e di piccoli commercianti che alzano le serrande delle loro aziende confidando sempre nella Provvidenza.

Questa è l’Italia a cui non ha pensato solo de Bortoli, è l’Italia che non appare ma che è reale e che sa ingegnarsi per realizzare risultati.

Tempo fa segnalammo la costituzione di un organismo associativo di pasticcieri, a Bisceglie, pasticcieri intenzionati a valorizzare il Sospiro, un dolce tipico che ha una storia da vantare: l’impegno della categoria ci sta tutto e procede con ottimi punti.

Caseari in fibrillazione nel sud barese, area Murge: è in arrivo il marchio DOP per la mozzarella di Gioia del Colle: il 21 ottobre scorso, la G.U. dell’Ue ne ha pubblicato la domanda di registrazione, omologandola erga omnes come da Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui regimi di qualità di prodotti agricoli e alimentari.      

A Castellana Grotte è stato presentato da poco il servizio ‘’Il tuo artigiano a casadestinato a chiunque desideri, in tempi brevi, un servizio di pronto intervento specifico.

Si potrà chiamare o inviare un messaggio whatsapp per richiedere la prestazione desiderata: di seguito il link da tenere a mente www.iltuoartigianoacasa.it.; agli utilizzatori frequenti del servizio una fidelity card consentirà di accedere a sconti e premi.

Piccoli ma significativi esempi di operatori che guardano avanti. Nonostante tutto.

E’ l’Italia che funziona !

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Regionalismo fiscale: Autonomie, come? https://ilquartopotere.it/news/economia/regionalismo-fiscale-autonomie-come/ https://ilquartopotere.it/news/economia/regionalismo-fiscale-autonomie-come/#respond Wed, 09 Oct 2019 06:59:13 +0000 http://www.ilquartopotere.it/?p=2281 Di Franco Bastiani Se ne sta parlando da parecchio con giornali, tv, convegni, interviste. Si sta dicendo tanto e di più, e poi tanto si sta scrivendo, così la confusione aumenta e il cittadino continua a capire poco, quasi niente; spesso si stravolgono anche quei concetti apparentemente chiari È tipico del nostro Paese complicare ogni […]

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Di Franco Bastiani

Se ne sta parlando da parecchio con giornali, tv, convegni, interviste.

Si sta dicendo tanto e di più, e poi tanto si sta scrivendo, così la confusione aumenta e il cittadino continua a capire poco, quasi niente; spesso si stravolgono anche quei concetti apparentemente chiari

È tipico del nostro Paese complicare ogni questione, rendendo complesso ciò che potrebbe sembrare semplice.

Ma procediamo con alcune considerazioni  di fondo sul c.d. regionalismo fiscale, proiezione delle autonomie che reclamano alcune Regioni.

Le autonomie sono previste dalla Costituzione quale riconoscimento al territorio e a chi lo abita della possibilità di gestirsi appunto autonomamente, soprattutto in presenza di peculiarità che richiedono particolari e adeguate attenzioni.

Le Regioni a Statuto Speciale (Sicilia, Sardegna, Val d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) furono previste e attuate subito dal legislatore costituente per salvaguardare minoranze etniche, lingue, costumi, tradizioni ed economia di determinate aree che andavano “stralciate”  e considerate a parte nel panorama della nuova Italia, divenuta repubblicana dopo il referendum del 2 giugno del 1946.

Le Regioni a Statuto Ordinario entrarono in vigore il 1970.

Occorre dire che non pochi politici del tempo manifestarono perplessità per l’istituzione delle Regioni a partire dal 1970: avrebbero voluto una più lunga operatività dei poteri dello Stato centrale ovvero una maggiore preparazione all’avvento di Consigli e di Giunte regionali.

L’Italia ha un territorio lungo 1300 kilometri il che denuncia una variegata diversificazione culturale del popolo in molti ambiti.

Le autonomie hanno ben ragione d’essere, a condizione però che vengano protetti, quali valori fondamentali e comuni a tutti, i diritti collegati all’istruzione, alla sanità e alla libera circolazione, oltre (ovviamente) al lavoro, su cui si fonda la nostra Repubblica, che può e deve essere fonte di reddito e, pertanto, di materiale e dignitoso benessere.

Le nostre Regioni sono in grado di fornire esaurienti risposte al dettato costituzionale nel vasto e insidioso campo delle autonomie ?

C’è la volontà di migliorare l’assetto della distribuzione dei poteri dello Stato per una maggiore e migliore fruizione dei vantaggi che ne possono rivenire ai cittadini? O c’è l’ansia di una forma di sovranismo regionale fine a se stessa e dall’occulto tenore campanilistico?

Il nocciolo dell’ampio e spinoso dibattito è proprio qui!  E ciò falsa sostanzialmente quanto ci si propone di attuare con ulteriori  passi in avanti verso un’autonomia differenziata che torni veramente positiva e benefica per la collettività.

Adriano Giannola, economista, presidente Svimez, ha forti dubbi e come lui dubbi hanno anche parlamentari e consiglieri regionali del Sud.

In pratica, più che un programma organico volto a migliorare la macchina amministrativa, si sta consolidando il sospetto che alcune Regioni del Nord pensino a realizzare una sorta di distanza da quelle di un Mezzogiorno appesantito da bilanci squinternati – così li giudicano –  e da sistemi inefficienti di gestione dei propri ruoli.

Circa la spesa pubblica in capo ad ogni cittadino non sussiste quadratura di conti fra Nord e Sud” fanno notare al Consiglio regionale di Puglia.

La spesa pubblica per il Sud non va oltre il 28%, abbastanza al di sotto del previsto 34% con riguardo alla densità della popolazione.

Insomma, il Sud non è zavorra e certamente lo sviluppo del Paese non può compiersi senza il suo contributo.

Il Nord ha bisogno del Sud e viceversa: avvertimento incontrovertibile ripetuto dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte all’inaugurazione della Fiera del Levante.

La verità – come sostiene  Paola Caporossi nel suo libro-inchiesta dal titolo provocatorio “W le Regioni ?” – è che siamo in presenza di un impianto a base regionale logoro, non competitivo, reso farraginoso dalla burocrazia e da una classe politica che, nel volgere degli anni, si è sciaguratamente distratta (onesta ammissione di molti amministratori pubblici), dai reali e più urgenti problemi del Paese.

Paola Caporossi si è interrogata sulle potenzialità delle Regioni chiedendosi se si possano ritenere esaustive e sollecitando i cittadini a verificarlo controllando quanto esse siano rispettose di quella  trasparenza prescritta dalla legge.

In sostanza, Caporossi, che presiede l’Agenzia rating pubblico, propone una indagine sulle Regioni e sulla loro idoneità a riceve ancora autonomie secondo schemi  da loro stesse preordinati, talvolta ai margini, quando non al di là, del dettato costituzionale.

Non si tratta, pertanto, di discutere di autonomie stricto sensu ma di accertare se queste  possano essere affidate agli attuali istituti regionali, cioè ad enti probabilmente non ancora pronti ad assorbire e detenere ulteriori poteri decentrati dallo Stato.

 

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