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Prendersi cura dei minori – Quando la famiglia di origine non è una base sicura

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A cura della psicologa Giacoma D’Aniello

 

Per professione e quasi per vocazione, mi imbatto in storie di ragazzi e di famiglie, nelle loro emozioni, nelle loro fragilità. Stampata nella mia mente c’è la storia di Jasmine, che ho incontrato per la prima volta in uno sportello di ascolto scolastico. La sua è una storia triste, una storia di violenza domestica, di maltrattamenti fisici e psicologici che un padre-mostro infliggeva ai membri della sua famiglia.

Nel lontano 1999 la “Consultation on Child Abuse and Prevention” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità affermò che per “abuso all’infanzia e maltrattamento debbano intendersi tutte le forme di cattiva salute mentale fisica e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell’ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere” .

I minorenni che si trovano a vivere tali condizioni sfavorevoli, solitamente vengono allontanati, temporaneamente o definitivamente, dalla propria famiglia per essere inseriti all’interno di strutture residenziali (case famiglia e comunità per minorenni), in famiglie affidatarie o adottive. Jasmine con sua madre e i fratelli ha vissuto temporaneamente in una struttura residenziale.

Altri motivi di allontanamento del minore possono essere riconducibili a situazioni di gravi crisi economica, disoccupazione e in generale, quando  i genitori sono impossibilitati a provvedere al soddisfacimento dei bisogni, anche primari, del minore e assicurargli uno stile di vita e un’educazione adeguata.

La scelta di allontanare un figlio dalla propria famiglia d’origine può essere vissuta come un’ingiustizia dai minori e dai genitori stessi, in realtà è una misura necessaria per tutelare il bambino: l’obiettivo è far in modo che il minore viva un’esperienza di cura che sia riparativa a diversi livelli, ovvero psicologico, educativo, emotivo e sociale.

La maggior parte di questi ragazzi che si trovano a vivere fuori dalla propria famiglia sono stati, dunque, esposti a traumi ed esperienze di vita sfavorevoli che inevitabilmente hanno portato con sé esiti negativi.

Come per tutte le esperienze traumatiche, le conseguenze risultano essere strettamente connesse all’età di insorgenza, alla qualità e alla frequenza degli eventi in cui il minore è coinvolto emotivamente e fisicamente.

Più bassa sarà l’età di esposizione e più gravi e frequenti gli episodi traumatici e maggiori saranno le ripercussioni sullo sviluppo psicofisico e sulla strutturazione della personalità.

Le diverse ricerche in materia hanno evidenziato in questi bambini competenze sociali compromesse, bassa autostima, problemi comportamentali ed emotivi, difficoltà scolastiche e cognitive.

Facendo sempre prevalere l’interesse del minorenne, è importante intervenire anche sui genitori dei bambini ospitati in strutture o presso famiglie affidatarie, che nella maggioranza assoluta dei casi, sono sottoposti a procedure di valutazione della loro capacità genitoriale all’interno del quadro normativo costituzionale che vede la tutela del rapporto genitori-figli come obiettivo prioritario come sancito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Occuparsi dei minori e delle loro famiglie risulta essere un’impresa di estrema umanità, un plauso va a tutti quegli operatori che con amore, quotidianamente, rendono migliore la loro vita.

 

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