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Il bisogno di rivoluzione da dietro i banchi

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I ragazzi di oggi sembra aver perso completamente la voglia di andare a scuola. Ma è colpa loro? Nel XXI secolo ci sono due fattori principali alla base dell’istruzione: il primo è l’economia e il secondo è di carattere culturale: “Come facciamo a trasmettere alla nuova generazione un senso di identità e il nostro intero patrimonio, affinché la società cresca e vada avanti?” Il problema è che si procede schierando dietro dei banchi e imbottendo di nozioni studenti che non trovano motivazioni valide per andare a scuola. Perché questo? La scuola tende a classificare le persone in due tipi: l’accademico e il non accademico o l’intelligente e il non intelligente, premiando così solo alcune delle tanti doti che vanta l’essere umano, ossia il pensiero logico-matematico, tralasciandone altre come la creatività e le doti artistiche. Il punto è che il nostro sistema di istruzione è stato pensato per un’epoca diversa: la prima rivoluzione industriale. Prima del XVIII secolo non c’erano altre fonti di educazione (se non i Gesuiti) e pensarla obbligatoria e gratuita per tutti era stata un’idea rivoluzionaria. Fino alla fine del secolo scorso si andava a scuola perché si cresceva con l’idea di lavorare sodo, prendere una laurea e avere un buon lavoro assicurato. I ragazzi di oggi non credono più in questo (e come biasimarli?): avere una laurea non significa avere un lavoro assicurato e quindi che senso ha fare tutta questa fatica mettendo anche da parte molti piaceri adolescenziali? Nella nostra scuola si pretende che l’alunno entri “tabula rasa” ed esca “rimpinzato” di nozioni, ma in un’epoca come quella attuale, dove tutto è presente sul web, l’eccesso di informazioni non ha più senso. Non si può più insegnare ai ragazzi mediante lezioni prettamente frontali, costringendoli ad imparare passivamente. Per rivoluzionare il sistema di istruzione c’è bisogno di considerare il contesto storico, politico e sociale dell’epoca ma soprattutto bisognerebbe imparare a pensare diversamente riguardo l’uomo e le sue capacità, affinché vengano valorizzate tutte nel miglior dei modi. E no, non è affatto impossibile. La scuola è organizzata sul modello di un’industria: campane che suonano, spazi divisi per sesso (i bagni), esperti specializzati in materie differenti e gruppi di ragazzi suddivisi per età, come se fosse l’unica cosa a loro comune. Lo studente è una persona e come tale potrebbe essere più brava in alcune materie e meno in altre, lavorare meglio in gruppi più grandi o più piccoli, o perché no, anche da sola. Tutto questo va a suo sfavore, perché danneggia l’inventiva, la creatività e l’unicità del proprio modo di pensare ossia il “pensiero divergente”, che dovrebbe solo essere stimolato. Una delle conseguenze è il cosiddetto atto del “copiare”, che è stimato da tutti come controproducente. L’interconnessione delle idee, invece, non lo è affatto e si dovrebbe puntare proprio a quella. L’unico modo per raggiungere questo obbiettivo è il lavoro di squadra, il team work, in cui i singoli individui si trovano in un gruppo per il quale provano senso di appartenenza. L’identità di ognuno ne esce rafforzata e non allineata: si impara la materia e il metodo, come apprendere ma anche come insegnare, come aiutare e come lasciarsi aiutare. Infine bisognerebbe far sì che lo studente sviluppi amore per la conoscenza e non che viva l’esperienza dell’istruzione con indifferenza o peggio, con apatia.

Laddove non ci sia questo, il decadimento intellettuale è ad un passo.

ANGELICA FIORINI IV C

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