Quando l’alta sartoria italiana parte dalla nostra terra
Quando nasci negli anni ’50, fai indigestione di sogni, i più belli. Monti in sella alla vita e voli sui prati più verdi e tra i cieli più azzurri.
Grazie a Dio, la guerra è finita e i panorami, con tanta buona lena, ce li costruiamo noi, mattoncino su mattoncino come nel più bel gioco per bambini.
È un viaggio tra residui di nuvole nere tra cui fare lo slalom, dove i semafori a volte si inceppano, dove capita che scampoli del passato ti piovono addosso e sei senza ombrello, indifeso.
Ma non può piovere sempre perché, quando sei figlio del miracolo economico, hai l’adrenalina a mille e un sacco di sogni per la testa per cui fare la rivoluzione.
Domenico Summo, figlio del boom, è il penultimo di una sfornata di sette con un futuro già scritto. Si, perché quando nasci negli anni ’50, hai poco tempo per essere bambino, purtroppo. Non puoi correre dietro ad un pallone o passare ore a pettinare le bambole, cresci alla velocità delle bocche in casa da sfamare e si gioca di squadra per la famiglia.
Domenico, come tutti i bambini del secondo dopoguerra, fa sogni da grandi: imparare un mestiere per essere d’aiuto all’economia familiare, l’unica cosa che davvero conta.
È deciso. Domenico, come gli altri tre uomini di casa, vivrà la sua vita nella cabina di un camion e sarà la strada la sua inseparabile compagna di viaggio, di notte e di giorno, con il sole negli occhi o mentre la pioggia picchia insistentemente sopra la testa e fa un fracasso infernale.
Non ne è felice. Da bravo figlio, però, ci prova per non deludere le aspettative paterne, ma quel futuro lo sente estraneo. Totalmente.
La mamma, che è sempre la mamma, legge negli occhi del figlio il malumore e gli va incontro. Non le era sfuggita l’inclinazione che il suo ragazzo, crescendo gomito a gomito con le sorelle sarte, aveva manifestato. Quella passione per ago e filo, se coltivata, avrebbe fatto di suo figlio un sarto, forse il più bravo.
Non senza sacrifici, a suon di sberle e antipatiche tiratine d’orecchie, Domenico cresce professionalmente sotto la guida di grandi maestri finché il servizio di leva lo sradica dalle sue certezze e congela (forse per sempre) il suo sogno. Chi lo sa!
Non è così, invece. Quella parentesi di 15 mesi si rivela produttiva perché inaspettatamente ago e filo continuano ad essere per lui le inseparabili armi del mestiere anche dentro la caserma.
Il ritorno al civile lo lancia nel mondo lavorativo vero e proprio e, tra molti alti e qualche basso, le soddisfazioni arrivano anche nella vita privata: tre figli maschi e una famiglia serena, oltre che una sbarazzina 500.
Il suo sogno sta finalmente prendendo corpo,
Domenico avvia una cooperativa dove, dopo un iniziale periodo di sola stireria, si impianta la catena e si realizza da zero il must dell’uomo elegante: l’abito.
Finalmente sta accadendo, la meta è lì, pochi passi ancora e il sognatore potrà dire di avercela fatta, ma, neanche sai come e perché, capita di sbagliare e improvvisamente ti manca il terreno sotto i piedi. Frana tutto: onore, credibilità, fiducia, autostima. Sei solo di fronte al tuo fallimento di uomo e di padre a chiederti perché il tuo sogno si sia preso gioco di te.
È nella mano tesa dei tuoi figli che comprendi che non è tutto finito.
Dalle ceneri della cooperativa nasce la WM SUMMO CREAZIONI SARTORIALI, dove W sta per Walter e M per Maurizio, l’orgoglio di papà Domenico.
Si ricomincia dal basso con le braccia forti e giovani di chi ha scelto di continuare sulla strada maestra, maturi dell’esperienza e degli errori precedenti.
In soli tre anni l’evoluzione aziendale è stata importante, passando da 20 a 70 dipendenti e arrivando ad una produzione giornaliera di oltre un centinaio di pezzi, ma dove la qualità rimane il punto di forza.
Quella corona all’occhiello su ogni capo sintetizza una storia lunga 50 anni. È la storia di tre uomini che oggi abbracciano lo stesso sogno, anche se indiscutibilmente il re della giacca rimane Domenico Summo.