Di Renata La Serra
Per quanto ampio sia il ventaglio di possibilità a disposizione nel corso di una vita, minima è la capacità di scegliere consapevolmente in relazione alle possibili conseguenze celate dietro ogni azione, pronte a presentarsi con tracotanza e irriverenza.
Sebbene si presuma che, accantonando situazioni estremamente delicate e d’emergenza, ad ogni individuo fin dalla nascita vengano trasmesse determinate informazioni capaci di forgiarne la personalità e condizionarne la crescita personale, talvolta bisogna tener conto della casualità e prevenirne l’ingannevole avanzata.
Il retaggio culturale assume un ruolo fondamentale, la famiglia e i disparati nuclei più o meno grandi che gravitano attorno all’adolescente hanno la responsabilità di sensibilizzare circa argomenti che spesso, invece, restano avvolti da oscurantismo e disinformazione correlati alla paura e dunque al negazionismo.
Uno di questi temi è l’utilizzo di sostanze stupefacenti.
A sollevare la questione è stata Giorgia Benusiglio, ospite presso il Cinema Alfieri per la proiezione del film autobiografico “La mia seconda volta”, e presso il Liceo Oriani in data 24 Marzo 2019.
Giorgia, al tempo stesso vittima e carnefice del trapianto di fegato avvenuto nel fiore dei suoi 17 anni, ribadisce ai ragazzi, di scuola in scuola, l’importanza di un passa-parola da parte di insegnati e studenti stessi affinché, proprio a partire dalla scuola, venga abbattuto il muro del silenzio.
Doveroso sarebbe combattere l’impermeabilità della scuola dinanzi a temi quali droga, educazione sessuale, educazione all’ascolto di sé e degli altri al fine di una coesistenza sicura e piacevole all’interno della società.
Questo l’appello di Giorgia, questo l’appello di noi studenti; appello ormai virale accolto dalla Preside Adduci in collaborazione col Rotary Club di Corato.
Determinata, coincisa, quasi cinica nella sua fragile emotività, Giorgia racconta coraggiosamente la sua esperienza pregressa: la giovinezza, la voglia di compiere i primi passi verso la tanto agognata indipendenza.
L’entusiasmo travolgente delle prime esperienze, le amicizie precarie: tappe fisse dell’età in cui il proibizionismo fine a se stesso non può che rivelarsi nocivo.
Con le sue parole Giorgia arriva dritta al punto: “mi è bastata mezza pasticca di ecstasy tagliata col veleno per topi per diventare un’ eterna paziente. Ancora pago il prezzo di una distrazione, uno svago momentaneo, tra l’altro il primo. Un errore madornale che mai avrei commesso se solo avessi saputo che con una sola pasticca si potesse rischiare la morte”.
Una pasticca, arma a doppio taglio, ha ingoiato per svagarsi e adesso, da dieci anni a questa parte, una pasticca deve ingurgitare quotidianamente, una pasticca con un bicchiere d’acqua non appena apre gli occhi la mattina, un gesto spontaneo, esattamente come respirare, con la sola differenza che Giorgia, dopo la fatidica serata deleteria e l’unica apparente settimana idilliaca cha ha seguito l’assunzione della droga, ha dovuto lottare per ogni singolo respiro, e mai indolore.
Lo sanno bene le sue costole, il suo fegato che con l’assunzione del farmaco si consuma lentamente.
Lo sa la sua speranza di vita che cresce ogni giorno, sì, ma insieme al timore di ogni minimo malore.
Lo sa la sua famiglia che l’ha sostenuta e supportata, lo sa suo padre che una volta ha detto: “pensiamo sempre che i figli dei <drogati> siano i figli degli altri, mai i nostri”.
Ma Giorgia ci insegna a sormontare gli stigmi e ci fa riflettere sul fatto che non sia necessario essere drogati per giocarsi la vita in un soffio.
La chiamavano “la droga dell’empatia” – che proviene da phatos e significa “emozionarsi”, spiega Giorgia – perché aiuta a diventare più socievoli, a relazionarsi con gli altri in maniera propositiva e a sentirsi nella propria ovattata “confort zone”, successivamente interrotta da un frequente malessere improvviso.
Possiamo dunque notare una significativa dicotomia fra i primi effetti e gli ultimi effetti che caratterizzano il POST-ASSUNZIONE.
La chiamavano “la droga dell’empatia”, nel 2019 rinominata “la droga killer”, il che non dovrebbe diffondere superficialità.
Spesso utilizzata come stupefacente di passaggio, perché a lungo andare gli effetti collaterali, prima latenti, iniziano a prevalere sulle agognate ore di gloria, quasi trampolino di lancio per un mondo il cui sorriso resta paralizzato.
Per fortuna a resistere è il sorriso di Giorgia che lotta per due assieme al ricordo della sua donatrice e nel nome di tutti i ragazzi che, come lei, hanno subito le conseguenze di una curiosità, vacua e, a differenza sua, non sono diventati superstiti bensì avvelenati.