Uno spunto di riflessione sulle feste religiose e la laicità delle Istituzioni pubbliche, in una nota del consigliere Tambone.
È comprensibile che, in momenti di difficoltà come quello attuale, la forza con cui si impongono all’opinione pubblica i problemi “concreti” dei cittadini spinga nella inattualità e nella irrilevanza le questioni di principio, quelle relative ai fondamenti “astratti” del nostro vivere insieme, che sono i pilastri della nostra Costituzione. Tuttavia, di tanto in tanto, è necessario tornare ad essi, per comprendere se e in quale misura continuano a orientare la nostra comunità locale e nazionale. Dopo alcuni giorni dalla festa patronale, potrebbe essere utile avviare una riflessione su uno di questi principi, la laicità dello stato, che è il principio supremo dell’ordine costituzionale.
Può sembrare strano, ma la laicità è un principio evangelico. Fu Gesù a definirla così: «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» (Mc. 12, 13-17), rispondendo alla domanda di farisei ed erodiani sul tributo da riconoscere a Cesare («è lecito pagare il tributo a Cesare o no?»).
La domanda è sibillina, formulata apposta per creare confusione, non per fare chiarezza. Ma Gesù ci sta al gioco e capovolge la questione, mettendo i suoi interlocutori (e noi) di spalle al muro: a chi spetta decidere ciò che è di Cesare, a Cesare? … a Dio? … a noi? … e a chi spetta decidere quel che è di Dio?
Significativo è che Gesù non risponde con un «sì» o con un «no» definitivi, perché i rapporti tra Dio e Cesare o tra chiesa e stato non si risolvono né con un «sì» incondizionato né con un «no» pregiudiziale: Dio e Cesare sono un binomio problematico. Con quella risposta Gesù vuole dire innanzitutto che Cesare esiste e che bisogna riconoscere il suo potere, ma con un riconoscimento che passa attraverso la critica del potere, per capire, di volta in volta, quello che appartiene a Cesare e quello che non gli appartiene. La seconda cosa che Gesù vuole dire è che la moneta, in quanto porta l’immagine di Cesare, appartiene a lui e a lui va restituita, perché tra Cesare e Dio c’è una netta distinzione: Cesare è Cesare, Dio è Dio. Cesare non ha nulla di divino: Cesare è laico, lo Stato è laico.
Questo significa che Gesù non sta con Cesare, ma davanti a Cesare; non lo vede come un possibile alleato, non chiede la sua protezione, non cerca i suoi favori, non chiede concordati né intese né di insegnare nelle sue scuole né di interrompere attività didattiche per funzioni religiose né che presidenti della Repubblica, sindaci e forze di polizia presenzino a cerimonie religiose con fasce tricolori o alte uniformi, simboli del potere politico. Questa confusione di ruoli determina inevitabilmente situazioni paradossali, come quando da un lato si concedono concordati e danaro… ma dall’altro si rifiuta il dialogo su questioni considerate indiscutibili, sacre, non negoziabili!
Non dimentichiamo che il «Credo» recita che Gesù “patì” sotto Ponzio Pilato e non che “firmò” concordati. La mediazione tra Dio e Cesare è solo una croce.
I problemi nascono quando la chiesa si allea con Cesare e in nome della sua verità assoluta e non negoziabile entra nel dibattito politico-legislativo per determinarne gli orientamenti, con la conseguenza che la legge civile dovrebbe ispirarsi ai principi e ai valori della chiesa.
Questo atteggiamento stride sia con il messaggio cristiano, che rischia di trasformarsi in ideologia del potere politico sia con il principio di laicità dello stato, che è il principio supremo dell’ordine costituzionale (Corte Costituzionale, sentenza n. 203 del 1989), che presuppone quella separazione tra stato e chiesa che Gesù già presupponeva tra Cesare e Dio.
Allora, che cosa è la laicità? È quel principio che garantisce la libertà delle istituzioni e delle leggi civili dalle ingerenze della autorità religiosa e la libertà della religione dalle ingerenze della autorità politica.
Quindi (tanto per complicarmi la vita!), lo Stato laico fa sua, come metodo di azione, un’etica relativista o democratica, ponendosi come sintesi di tutti i valori e non identificando le proprie azioni legislative con nessuna fede che affermi la propria verità come unica e infallibile.
Per un cristiano, vivere laicamente può significare che le convinzioni di fede, in quanto tali, non sono motivazioni sufficienti per sostenere la propria posizione su come si regola la convivenza civile. Significa «non solo dire no alle pretese di clericalizzazione della nostra vita pubblica, ma [che] dobbiamo impegnarci per infondere nella vita pubblica principi e valori sociali rielaborati liberamente sulla base del nostro impegno individuale e libero, come nostro compito fondamentale» (G. Zagrebelsky).
Concretamente, il cristiano non invoca Dio nel dibattito politico-legislativo, non porta argomentazioni teologiche, non considera Dio come un a-priori necessario, ma porta solo ragioni antropologiche.
Questo atteggiamento laico del cristiano in quanto cittadino è stato espresso con forza dal pastore e teologo protestante tedesco D. Bonhoeffer in una lettera dal carcere qualche mese prima di essere impiccato nel campo di concentramento nazista a Flossenburg:
«E non possiamo essere onesti senza riconoscere che dobbiamo vivere nel mondo “etsi deus non daretur” [anche se Dio non esistesse]» (lettera del 16/7/44, in “Resistenza e resa”).
La tesi di Bonhoeffer è questa: in un mondo divenuto maggiorenne, che basta a se stesso e che funziona anche senza Dio, non c’è più posto per il «deus ex machina» della religione, pensato per dare certezze all’essere umano e liberarlo dalle sue paure e dalle sue domande senza risposta. Il mondo secolarizzato, divenuto maggiorenne, ha preso le distanze da questa idea religiosa di Dio, di un dio «tutore», un dio «tappabuchi». Per queste ragioni, Dio non dovrebbe essere posto come a-priori necessario o come fondamento di valori che non sono universalmente condivisi. La proposta di Bonhoeffer è quella di una fede compatibile con una visione democratica e laica del mondo.
La democrazia è un regime politico laico, in cui si riconosce una sola sovranità, quella del popolo: non c’è sovranità di Dio nel dibattito e nelle decisioni politico-amministrative e, francamente, neppure la sovranità del dio-mercato!
Il tema della laicità delle istituzioni pubbliche è emerso in occasione delle recenti celebrazioni della festività di san Cataldo.
Chiediamoci: chi è san Cataldo, il patrono della città e dei cittadini di Corato o il patrono dei credenti (cattolici) della città di Corato? Il sindaco C. De Benedittis, presenziando alle celebrazioni religiose con la fascia tricolore, ha risposto inequivocabilmente che è il patrono della città, di tutti cittadini, credenti e non credenti, confondendo, erroneamente, cittadino e credente, Cesare e Dio. Con la sua presenza, incarnazione della massima carica istituzionale della città, assieme alle altre autorità civili e militari, il sindaco ha violato il principio della laicità, principio insieme costituzionale ed evangelico. Mio malgrado, per la stima e l’affetto che nutro per lui, devo muovergli la critica di non aver dato una buona lezione di educazione civica ai cittadini, quando invece avrebbe potuto cogliere l’occasione per sottolineare il valore della distinzione tra Dio e Cesare, tra chiesa e stato, tra credenti coratini e cittadini coratini. Ciò non toglie che la persona Corrado De Benedittis, come credente e non come sindaco, per capirci, senza la fascia tricolore, ha pieno diritto di manifestare la propria fede nelle processioni e nelle liturgie religiose, nei luoghi e nelle forme a lui più gradite, ma sempre come persona credente, mai come rappresentante della città, perché la città è laica, Corato è laica.
A chi per legittimare la partecipazione del sindaco alle liturgie religiose risponde che in Italia c’è il concordato, si dovrebbe rispondere che il concordato non è la risposta al problema, il concordato è il problema della nostra Repubblica, esso è una aporia della nostra democrazia, una limitazione della sovranità del popolo, un paradosso costituzionale e tutto questo lo è anche per la chiesa.
Assieme alla critica, chi scrive riafferma la propria stima e lealtà nei confronti del sindaco in questa esperienza politico-amministrativa, fiducioso che comprenderà le ragioni e lo spirito di questa riflessione.
Quante ore di lavoro (da Sindaco) perde il Sindaco per seguire una processione ?
Quante ore di lavoro perde il Sindaco per andare a “mettersi la fascia tricolore” in qualche celebrazione?
Non credo molte…
Sono tanti i tagli di nastro “laici” (lasciamo perdere…)
Quanti soldi pubblici si spendono per abbellire laicamente le strade o per una festa “patronale” che quasi tutta Corato (è una mia impressione) più o meno gradisce, per motivi più che altro folkloristici e affettivi ?
Troppi? Troppo pochi ? Più o meno il giusto ? Mah… (senza stare su queste cose poi troppo a sottilizzare…)
Al massimo, se proprio non si ha di meglio da fare, di questo (e non di laicismo) si potrebbe anche discutere, tanto il mondo ormai è tutto un talk show…
La tradizionale festa annuale è, diciamo, una festa cittadina, a prescindere dal nome tradizionale che le si da e dalla statua esposta, a cui nessuno credo abbia mai dato tanta importanza religiosa… Tranne a chi dalla religione, la sua e quella degli altri, è ossessionato (cosa che poco ha a che fare con il laicismo). Ma, fino a che non si tratti dell’Isis o dell’Opus Dei (e facciamo finta che questi appena citati siano “problemi” religiosi…), tutto sommato, a mio parere, sono problemi suoi.