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Posto, dunque sono?

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A cura di Gaetano Bucci

Originariamente fu Cartesio col suo arcinoto ”Cogito, ergo sum” a rivoluzionare la filosofia, ricollocando il principio e il fondamento dell’essere nel soggetto pensante. Per Hegel fu il cogito cartesiano alla base della nascita del pensiero moderno, quello da cui un po’ per volta derivò l’affrancamento dell’uomo dalla metafisica e l’autonomia del sapere e della scienza dai dogmi e dalla superstizione.
Da allora la fonte e la base dell’essere, incentrata sulla soggettività indubitabile, ha trovato altre ed originali varianti, seppure il più delle volte in senso metaforico o addirittura caricaturale.
Si va dal ”Consumo, dunque sono”, del celebre sociologo polacco Zygmunt Bauman in cui si denuncia la condizione dell’uomo nella società dei consumi e dello spreco, al “Mangio, dunque sono”, dello psichiatra francese Gérard Apfeldorfer in cui si descrive il rapporto patologico, gioioso e doloroso ad un tempo, dell’uomo contemporaneo col cibo.
A queste varianti se ne potrebbero aggiungere altre, più o meno esplicite, come il passaggio dall’homo sapiens sapiens all’homo videns, con cui il politologo Giovanni Sartori descrive la degenerazione dell’uomo contemporaneo che fonda il suo essere nel rapporto con i mezzi di comunicazione di massa.
Scopriamo però negli ultimi tempi una ulteriore variazione del fondamento delle nostre certezze, quella che definirei: ”Posto, dunque sono”, dove “posto” è voce del verbo “postare”, orribile neologismo di derivazione dell’inglese “to post”, ovvero inserire messaggi, foto e video nella infinita rete internet e nelle profonde gole dei gruppi social cui, in verità parafrasando Benedetto Croce, “non possiamo non appartenere”.
”Posto, dunque sono”, sarebbe quindi il fondamento del nostro essere in quella dimensione virtuale eppure reale che ormai rappresenta la nostra seconda vita e la nostra pubblica identità.
Stupefacente. Chi l’avrebbe mai detto che la prova chiara, distinta ed evidente del nostro essere dovesse passare dal “pensiero”, come riteneva Cartesio, al “post” o al “postare”, come si fa oggi, per dare e darsi prova certa e indubitabile della propria esistenza?
A questo nuovo assioma, dalle mille implicazioni psicologiche, sociologiche e politiche fanno ormai ricorso tutti, non solo i vanagloriosi e i “leoni da tastiera”. Vediamo che a questa prova cruciale, a questo “imperativo ontologico” si sottomettono tutti, dai politici di lungo corso ai parvenu, dai leaders nazionali ai politici locali. Ad esso si piegano addirittura i capi istituzionali, i vertici di enti pubblici, le aziende di pubblici servizi e i dirigenti di ogni risma.
Ormai non si contano più gli interventi in rete con decine di immagini del sindaco di Corato Corrado De Benedittis e addirittura, in modo parossistico, della SANB, azienda dei servizi ambientali del Nord-Barese. Pubblicare in rete decine di messaggi e centinaia di foto e video è ormai per loro una sorta di prova di esistenza in vita. Senza i “post” si sentirebbero morti, annichiliti nel loro essere vitali anche per le comunità di riferimento. Forse neanche è solo narcisismo, ma una specie di lotta agonica per dimostrare che senza di loro il mondo neanche esisterebbe.
Ovviamente stiamo spudoratamente esagerando ma è ormai un dato di fatto che il nostro sindaco, altri enti e sodalizi locali, che per pudore non citiamo, e addirittura la SANB ogni giorno ci riempiono di immagini del loro ordinario lavoro.
Non se ne può più. Anche perché se così dovesse continuare e se così facessero medici, insegnanti, impiegati pubblici, personale delle poste e dei trasporti ed ogni altra classe di lavoratori il mondo della rete si sostituirebbe a quello della vita. Il virtuale prenderebbe il posto del reale e l’uomo sarebbe ormai prigioniero di se stesso, anzi delle proprie foto pubblicate in rete.
Pertanto, al sindaco, che di filosofia se ne intende molto, vorremmo dare il consiglio di oscurare completamente nel suo profilo Facebook le sue attività istituzionali o quantomeno di limitarne molto l’uso di immagini. È infatti noto che gran parte del populismo in cui è caduta la sua figura deriva proprio da un uso esagerato e smodato di immagini in cui egli è ritratto più per compiacere i suoi sostenitori che per necessità di pubbliche relazioni.
Alla SANB, da cui dipende il decoro della nostra Corato, consiglieremmo invece di tenere pulita e ordinata la città, senza ostentare decine e decine “immagini narcise” di operatori in divisa fosforescente nel loro ordinario lavoro. Non è che mostrando i propri operatori, armati di tutto punto di ramazze e di idranti, le strade e le piazze sporche di Corato diventano più linde e pinte. Serve piuttosto una buona ed efficace educazione ambientale e il rispetto generale dei luoghi comuni, oltre il loro lodevole ma ordinario lavoro.
Pertanto, lasciamo che la realtà si mostri “da sola” e non con i “post” o, peggio, con cascate di immagini e video.
Torniamo a fare come Cartesio per il quale, “da solo”, il pensiero dimostra l’essere.

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