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È Renato l’unto di Corrado

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A cura di Gaetano Bucci

Ricordo bene tutto. Ricordo di quando SEL sdoganò Renato Bucci come espressione della “vera sinistra” locale pur essendo egli estraneo a quel partito. Ricordo come lo stesso Renato Bucci, non contento, sfidò il sistema dei partiti tradizionali e ne fece di suoi, costringendo il PD a seguirlo nell’avventura, anzi sventura, dell’“anatra zoppa”. Ricordo come già dal primo consiglio comunale l’allora neo-sindaco Bucci si dichiarò “trasversale”, tradendo alla velocità della luce il suo programma politico.

Credo che sia stato quello, a Corato, il primo segno di una profonda crisi della politica nazionale che abbandonava a se stessi i territori, le città e intere comunità. Da noi il successo di Renato Bucci passò come una sorta rivoluzione, e poco contò che quella sua esperienza e quella del “CantiereinComune” fossero durate solo pochi mesi. Da allora in poi in tanti non si accorsero che quella che sembrava una maggiore autonomia dei poteri locali si andava trasformando sempre più in forme inedite di poteri particolari e personali. Infatti, da allora e nonostante i vincoli normativi e di bilancio, le crisi e le corruzioni negli enti locali sono aumentate in ragione della cosiddetta “governabilità”. Da noi una sequela di votazioni inutili e di insufficienti commissariamenti.

La crisi politica di Corato, che non è ancora finita, iniziò proprio in quegli anni di rarefazione e consunzione dei partiti tradizionali a cui corrispose la fascinosa proposta delle liste civiche. Alla caduta del potere personale di Gino Perrone, che comunque si esprimeva in un ampio quadro di riferimento politico regionale e nazionale dei partiti di centro-destra, il centro-sinistra, e la sinistra in particolare, non ha saputo rispondere. Il centro-sinistra locale ha preferito per quasi due lustri affidarsi al “civismo attivo”, con tutti i rischi che ciò ha comportato e che oggi vengono ad evidenza. Ci si è affidati a gruppi, “cantieri”, micro-movimenti e piccole consorterie, molte volte finanziati e guidati di nascosto, che non sono stati capaci, almeno fino ad ora, di costruire una vera alternativa al centro-destra.

L’esperienza e la conquista del potere politico da parte di Corrado De Benedittis si colloca in questo processo. Essa non è stata affatto originale ed inedita. Sono cambiati solo i nomi e certi referenti, non altro. De Benedittis ha preso tutto, o quasi, da quello che già Renato Bucci aveva sperimentato, sia nei contenuti che nei metodi. L’esperimento di Bucci era fallito per la resistenza del centro-destra e perché ancora non si era logorato il forte potere personale di Gino Perrone che, infatti, divenne Senatore della Repubblica, dopo aver conquistato anche la prestigiosa carica di presidente dell’ANCI-Puglia.

Corrado De Benedittis è salito al potere un anno fa per evidente declino di un ciclo politico del centro-destra e per una serie di fortuite coincidenze, come il mandato a vuoto del sindaco D’Introno, che lo hanno reso leader carismatico di un centro-sinistra diviso e allo sbando, e di una comunità cittadina alla ricerca di “promesse millenaristiche”. Il suo consenso è cresciuto in ragione della sua capacità affabulatoria e oratoria, più che di programma politico. Il suo consenso elettorale è stato fondato sulla promessa di una “rivoluzione gentile”, ovvero di un cambiamento di metodo, senza ovviamente sacrificare la sostanza, ovvero la “rimessa in moto della città”.

Questa promessa di un nuovo modus operandi, molto apprezzata e seguita dai giovani, è però, almeno fino ad oggi, rimasta in gran parte insoddisfatta. Anzi, essa è diventata una sorta di boomerang. Oggi il sindaco De Benedittis è, paradossalmente, sotto attacco di se stesso, ovvero delle promesse non mantenute. E ciò non tanto per le cose concrete ancora non fatte o fatte a spizzichi e bocconi per mancanza di tempo, di quattrini e di personale, ma per la consapevole ed evidente scelta di usare il potere in modo elitario, di usarlo in modo personalistico e nepotistico, talvolta addirittura in modo “piccioso e capriccioso”.

Qui non si discute della onestà, intelligenza e livello culturale del sindaco De Benedittis. Egli è senz’altro tra gli intellettuali più preparati di Corato e tra quelli che hanno mostrato consapevolezza di cittadinanza attiva. Ciò che ci lascia perplessi, che lascia perplessi anche i suoi estimatori di centro-sinistra, è il modo di esercitare il proprio potere. Da sempre egli ha dichiarato la sua libertà di scelta e il rifiuto di “logiche spartitorie”, mentre in realtà da un anno stiamo assistendo esattamente al contrario.

Subito dopo il voto abbiamo visto, per esempio, come da neo-sindaco De Benedittis abbia dato il “benservito” al gruppo di Vito Bovino che pure, col suo “gratuito sostegno”, gli aveva consentito di vincere al ballottaggio. In seguito abbiamo assistito ad una serie di nomine, assessorili e non, fondate più su parentele e conoscenze personali, piuttosto che su esperienze e competenze, con risultati ad oggi molto discutibili. In ultimo – è di queste ore la notizia – la nomina di Renato Bucci alla presidenza dell’Asipu a cui, forse, seguirà quella di Luciana Tarantini alla SIxT.

È evidente che a questo modo neanche si possa parlare di una pur giustificata “logica distributiva” del potere che, in termini dispregiativi e strumentali, si è chiamata sin dall’inizio “logica spartitoria”, soprattutto perché riferita agli altri. Qui ci troviamo di fronte ad una “logica predatoria” sui centri di potere, specie se si guarda a certi ritorni elettorali ed economici. Anzi, senza offendere la nobiltà della parola “logica”, che richiama il logos o la ragione, qua ci troviamo di fronte a puri atti di “arroganza del potere”, a decisioni che sembrano avere più che altro il “crisma del ristoro” per il sostegno ricevuto.

Dispiace molto dover rilevare nei fatti tutto ciò, soprattutto perché siamo stati in tanti ad avere fede in una vera svolta di cambiamento che andasse oltre il ricambio delle “consorterie”. Quando l’avvocato Renato Bucci, tra ironia e cinismo, dal palco elettorale faceva la narrazione della illusione della “età dell’oro” del centro-destra e dell’“innominato che tutti conoscono”, non pensavamo che sarebbe stato lui stesso l’“unto di Corrado” alla guida dell’Asipu, un ente di cui il meglio che la sinistra abbia detto è che “debba morire” il prima possibile.

Allora perché? “A che tante facelle?”, poetava Leopardi nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”. L’interrogativo del poeta era nobile. Il nostro è solo modesta domanda di “cittadini liberi di Corato”. Attendiamo risposte.

 

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