A cura di Gaetano Bucci
Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare del Ddl Zan che in dieci articoli rimodula ed estende la vecchia Legge Mancini contro le discriminazioni verso le minoranze sulla base della razza, dell’appartenenza etnica, religiosa o nazionale.
La nuova proposta di legge ha come titolo “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Il Ddl Zan è composto di dieci articoli. Esso si caratterizza per avere una prima parte di disposizioni atte ad arginare certi comportamenti discriminatori e violenti, e una seconda parte con disposizioni di promozione della accettazione delle differenze.
All’articolo 7 della proposta di legge si introduce la “Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” per il 17 maggio di ogni anno. Le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado dovrebbero provvedere in tale data ad organizzare iniziative a favore, senza distinzione tra scuole pubbliche e scuole private, confessionali o meno.
Su questo punto, secondo me a ragione, la Chiesa si è sentita limitata nella sua autonomia educativa, soprattutto a causa della diversa idea di famiglia che è implicita nella legge stessa. In questo caso, infatti, è lo stato italiano che interferisce, più che nelle leggi dello stato della Chiesa o nel suo “ministero della fede”, nella libera espressione della propria missione educativa a cui si ispirano la gran parte delle famiglie italiane e molte scuole paritarie.
Per questo la Chiesa ha richiamato lo Stato italiano, attraverso una “nota verbale” nota consegnata da monsignor Gallagher all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, al rispetto del Concordato e della sua revisione. Per il resto l’opposizione alla nuova legge riguarda più la politica e tutta la società civile piuttosto che il rapporto Stato italiano e Chiesa.
La nuova legge sta incontrando ostacoli e perplessità soprattutto nel Centro-destra ma anche in parte del Centro-sinistra. Personalmente, prima di entrare nei punti più controversi, ho l’impressione e la convinzione che senza una revisione “complessiva ed incisiva” del diritto di famiglia e senza la rivalorizzazione della stessa, la nuova legge non avrà nessun effetto concreto. Essa addirittura potrebbe contribuire ad aumentare le tensioni sociali in un momento storico in cui sono molto in crisi i rapporti tra i coniugi, quelli della socializzazione primaria nella famiglia, nella scuola e nei gruppi dei pari.
Il testo della legge fermo al Senato è stato giustamente da più parti indicato in contrasto con il principio costituzionale della “determinatezza della disposizione penale”. Infatti, a leggerlo bene, sin dal titolo e dalle definizioni in premessa, i termini “genere” e “identità di genere” sono piuttosto vaghi ed equivoci. Entrando poi nel merito dei primi sei articoli della proposta di legge non è ben chiaro ed evidente in che cosa consista il reato stesso, atteso che il confine tra la libertà di espressione, ribadita specificamente all’art. 4, e la condotta sanzionabile è molto labile e discrezionale.
Il dibattito delle ultime settimane ha preso la dimensione di un duro scontro politico, toccando da vicino l’autonomia legislativa dello Stato italiano. Ed è stata tirata in ballo la laicità dello Stato che sarebbe messa in dubbio dal condizionamento della Chiesa nelle sue varie espressioni istituzionali e sociali.
Purtroppo da molti anni si confonde tra laicità dello stato e delle istituzioni repubblicane con il laicismo che confina con il relativismo morale e comportamentale, come sta dimostrando il contrasto molto pesante e l’avversione in gran parte della popolazione italiana suscitata dalla “teoria di gender”.
C’è in Italia ormai da molti anni la tendenza ad esacerbare fino al paradosso e al ridicolo il concetto stesso di libertà. Questa idea della libertà che per affermarsi non debba avere nessun limite sta generando grande disorientamento soprattutto quando in suo nome anche piccole minoranze pretendono di imporre “erga omnes” la loro visione del mondo, prima ancora che i propri legittimi diritti.
La vogliamo dire tutta? Bene, la legge italiana ben prevede la tutela civile di tutti i cittadini. Farne una apposita per ogni caso speciale, significa fare “leggi speciali”. Il che proprio giusto e democratico non è. Come per esempio, la legge sulle “quote rosa”, che non significa niente se non il riconoscimento di fatto che qualcuno rispetto all’elettorato passivo vale più di qualcun altro. Non mi sembra che in altre parti del mondo ci siano queste astrusità normative. Per me, in modo surrettizio, esse violando il principio democratico della uguaglianza tra tutti i cittadini. introducono il “principio malsano” della prevaricazione delle minoranze sulle maggioranze. Questo molto in generale, ovviamente.
A Corato del Ddl Zan si è parlato poco. L’associazione politica Nuova Umanità ha organizzato una diretta Facebook molto interessante nel corso della quale sono emersi tanto i lati positivi che le significative perplessità. Sarebbe più che opportuno aprire la discussione a più livelli e coinvolgendo anche i decisori politici locali, senza pregiudizi e preclusioni.
Una cosa deve essere comunque chiara ed è quella che non è con le multe e la galera che si possa costringere la gente a superare pregiudizi e anacronismi, soprattutto quando questi riguardano la sfera del pensiero e la libertà di espressione. In questo senso sarebbe meglio avere una società libera e aperta che sappia promuovere “cambiamenti sostenibili” che non mettano in crisi, come di fatto da anni sta avvenendo, le fondamenta della nostra stessa cultura e civiltà.
Per questo le parole chiave sono educazione, rispetto degli altri e cultura. La libertà in fondo non è la risultante di divieti e sanzioni ma l’espressione di una condizione umana che debba renderci tutti un po’ più fraterni. È l’utopia della modernità espressa in uno dei suoi ultimi libri, “La società amorosa”, dal filosofo Arrigo Colombo che ho avuto l’onore di presentare anche a Corato, e in cui si prospetta una “revisione dell’etica amorosa e sessuale”.