Storia completa e analisi politica del confronto/scontro che ha acceso tutti gli ultimi consigli comunali
In tutti gli ultimi consigli comunali i coratini stanno assistendo a un confronto molto aspro che contrappone la maggioranza, o quel che ne rimane, e la capogruppo del partito democratico, avv. Nadia D’Introno, che pure – almeno formalmente – non ha ancora ritirato il proprio appoggio a De Benedittis. Anche a causa di questo confronto, che spesso assume i toni del vero e proprio scontro, le sedute consiliari stanno prendendo tempi biblici; echi delle relative polemiche emergono, poi, dopo ogni riunione, anche sui social, protraendosi per giorni, conditi talvolta da scambi di duri comunicati. Impallidisce, rispetto a tutto ciò, anche la normale dialettica con le minoranze, il cui ruolo appare ormai meno incisivo di quello della D’Introno, che peraltro si presenta a tutti i consigli molto preparata e combattiva.
Che cosa sta succedendo, quindi, fra il Pd e la maggioranza che governa la città? Da dove nasce questo contrasto e come mai non sfocia ancora in un definitivo ritiro dell’appoggio politico amministrativo da parte del partito più importante della coalizione?
Gli antecedenti: a) la campagna elettorale
Per dare una risposta a questi interrogativi, la storia bisogna però raccontarla dall’inizio, partendo da quello che è successo durante l’ultima campagna elettorale. Si ricorderà che allora il PD rimase a lungo incerto fra i candidati Bovino e De Benedittis: fu infatti l’ultimo partito ad aderire alla CAP 70033, come si chiama la coalizione di Corrado e che poi risultò vincente. Ebbene, gli osservatori più attenti ricorderanno che -stranamente – l’attuale sindaco non fece quasi nulla per ottenere quell’appoggio. Fu soprattutto il piccolo gruppo di Italia Viva che si adoperò in tal senso, incontrando direttamente e di sua sola iniziativa la delegazione PD; in quell’incontro, che si svolse nella sede dei renziani subito prima che scattasse il lockdown, Corrado non era neanche presente. Quell’appoggio Corrado, dunque, non lo ha mai veramente ed esplicitamente richiesto e fu Italia Viva ad insistere, consapevole dell’importanza politica che avrebbe assunto l’appoggio del maggior partito di centrosinistra; anche nella speranza, poi risultata vana, che ciò potesse ricompattare l’intero schieramento alternativo alla destra (con la desistenza di Bovino). Di fatto l’appoggio del PD ha reso vincente la proposta politica di Corrado che, prima, era sostenuto solo da una piccola coalizione di liste civiche che nel 2019 aveva ottenuto circa 4000 senza neanche arrivare al ballottaggio e che, quindi, anche nel 2020, avrebbe avuto poche speranze di vittoria; perché era evidente che i coratini non si “fidavano” di quei due gruppetti di candidati inediti e inesperti. L’ingresso del PD nella coalizione le conferiva indubbiamente credibilità, caratterizzandola chiaramente sul piano politico e rendendola affidabile sul piano amministrativo. Insomma, nella seconda tornata elettorale del 2020 l’appoggio del Pd, col suo patrimonio di esperienza amministrativa, unitamente ai gruppi di qualificati professionisti legati a Italia in Comune e a Italia Viva, conferivano alla coalizione la necessaria affidabilità che le era mancata nel 2019.
E i coratini si sono, infatti, fidati e affidati non certo al “cerchio magico” iniziale, bensì a questa nuova coalizione. Nel ballottaggio, poi, l’apporto leale e massiccio di Bovino è stato determinante per ottenere una vittoria che sembrava storica.
Il PD ha dato un apporto importante e decisivo a questa vittoria, anche dal punto di vista quantitativo, ottenendo ben 4 seggi in consiglio comunale (il gruppo più consistente a parimerito), e risultando quindi – in quanto partito di livello nazionale ben collegato alla Regione e alla Città Metropolitana – come il vero perno politico della coalizione .
È proprio questo che il neo-sindaco non ha mai accettato.
b) la vittoria, la formazione della giunta e l’avvio dell’attività di governo
Le prime avvisaglie di questa diffidenza/ostilità di Corrado & C verso il PD erano già emerse chiaramente nelle ultime fasi della campagna elettorale nella cui gestione il cerchio magico del candidato sindaco non ha mai ammesso interferenze (si pensi al programma elettorale deciso solo da loro). Infine, l’episodio più significativo, si verificò in occasione del comizio di chiusura. Il segretario del PD era riuscito ad ottenere un comizio “spettacolare” con la presenza, nientemeno, del Segretario nazionale Zingaretti, del Governatore Emiliano e di due ministri (Boccia e Provenzano). Ma, quando annunciò trionfante questo “colpo”, viene gelato dai maggiorenti della CAP che non volevano a Corato tutto quel parterre. Era apparentemente una follia, perché in una competizione elettorale così incerta, un comizio finale scoppiettante poteva risultare determinante. Il sottoscritto, nel corso di una riunione infuocata svoltasi nell’ex cinema Elia, dovette alzare la voce e battere i pugni sul tavolo e alla fine il comizio si fece (e fu effettivamente determinante sul risultato). Ma, ciò che più conta ai nostri fini, è la motivazione che, sia pure a mezza bocca, in quell’occasione fu data per tentare di impedire il comizio: si voleva evitare di caratterizzare eccessivamente la CAP in senso “partitico”; in altre parole, non si voleva riconoscere centralità politica al PD; si volevano i suoi voti, la sua copertura politica ed esperienziale, ma non gli si voleva riconoscere alcuna reale influenza né sulla linea né sulla caratterizzazione politica della coalizione.
L’atteggiamento di Corrado, appena eletto, confermò ulteriormente questa sua tendenza: la scelta di escludere totalmente, anzi umiliare, l’alleato Bovino fu decisa in solitaria dal sindaco pur sapendo che ciò avrebbe messo in difficoltà il PD; la nomina della giunta fu fatta senza ascoltare minimamente quel partito, sostanzialmente imponendogli anche i due assessori che formalmente erano in sua quota; le riunioni di maggioranza si limitavano a ratificare decisioni già dettagliatamente adottate altrove e, guarda caso, erano quasi sempre convocate di mercoledì, quando si sapeva che il segretario PD era di turno in ospedale; la scelta del segretario comunale e tutte le prime decisioni e nomine organizzative furono fatte senza che quel partito (né gli altri diversi dalle liste civiche, alias cerchio magico) avesse alcuna voce in capitolo.
Insomma, da quel momento si pose in essere una sistematica esclusione dalle decisioni di chiunque non facesse parte dello stretto entourage del sindaco: anche la giunta si è sempre, sostanzialmente limitata a ratificare.
Il culmine, però, si è raggiunto dopo circa un anno, quando l’assessora Bucci, in quota PD, è stata sconfessata dal suo partito; ma il sindaco ha fatto orecchio da mercante mantenendola in carica, rinnovandole pubblicamente la sua fiducia e umiliando, così, clamorosamente quello che sulla carta era il partner più importante della sua colazione.
La demolizione del gruppo consiliare PD.
Nel frattempo, si avviava anche una vera e propria “campagna acquisti” nei confronti dei consiglieri PD che, uno ad uno, sono stati indotti a rendersi indipendenti passando al gruppo misto. Che in questa operazione trasformistica ci fosse lo zampino del sindaco è evidente considerando due elementi: 1) i consiglieri ex PD, una volta passati al gruppo misto, non solo hanno continuato a sostenere la coazione di maggioranza ma sono divenuti destinatari di incarichi, deleghe e piedistalli, acquisendo una spiccata visibilità e rilevanza che prima non avevano; 2) nessuno di loro, quando ha lasciato il gruppo PD per passare al misto, è riuscito a dare uno straccio di motivazione politica evidenziando, ove ve ne fosse stato bisogno, che non si trattava di dissenso rispetto alla linea di partito.
Neanche il distacco del consigliere Addario dalla linea della sua capogruppo, manifestatosi nell’ultimo consiglio, è stato minimamente motivato politicamente se non con un generico “me lo chiede una parte del partito”. Nel suo caso, però, il palese, clamoroso conflitto di interessi che lo ha coinvolto sin dall’inizio della consigliatura (essendo padre di uno degli assessori in quota PD, di fatto scelto però solo dal sindaco) spiega molto del suo gesto.
Il senso dello scontro PD-CAP e la debacle annunciata.
Il PD, quindi, sin dall’inizio della consigliatura, anzi sin dalla campagna elettorale, si è trovato nella spiacevole situazione di chi viene coinvolto in una coalizione (dopo una dolorosa rottura con il “fratello” Bovino) ma siede a un tavolo da invitato minore che non decide, di fatto, mai niente. Anzi viene fatto oggetto di azioni ostili e demolitorie.
Il segretario di quel partito ha sempre sentito forte la responsabilità politica di essere il maggior garante politico della coalizione: un partito con responsabilità e struttura nazionali non rompe una coalizione di governo senza prima averle tentate tutte. Di qui la sua lentezza e prudenza nel formalizzare la rottura e l’invio a Corrado, tramite la brillante e combattiva capogruppo, di “messaggi” sempre più netti di dissenso, evidentemente nella speranza di un suo cambio di rotta. Una prudenza cui si è risposto, però, oltre che con la descritta operazione di ostilità e demolizione, anche con una serie di interferenze nelle dinamiche democratiche interne di quel partito.
Proprio per questo, intelligentemente, il segretario Di Girolamo ha voluto rimettere non al Direttivo ma al Congresso di circolo una decisione così importante, a costo di pagare prezzi politici molto alti perché l’elettorato del PD e la pubblica opinione si stanno chiedendo da tempo che senso abbia ancora rimanere in maggioranza.
Nella partita in corso fra il PD e la CAP sono, quindi, in ballo questioni politiche importanti. Coloro che guidano la nostra Città sono portatori di una concezione della politica legata a un civismo senza precisa collocazione e matrice, quindi privo di chiari riferimenti politici. Un civismo che, facendosi forte degli enormi poteri che il TUEL, attribuisce al Sindaco, si sente svincolato da tutto e da tutti e vuole muoversi disinvoltamente senza dover dar conto a nessuno: a un parlamentare, a una direzione provinciale o nazionale. Un civismo che, ad esempio, disattende clamorosamente il programma su cui ha ricevuto il mandato elettorale (si pensi agli impegni in materia di trasparenza e partecipazione). Un civismo che, proprio perché troppo libero e troppo solo, non riesce a mettere in campo energie e competenze adeguate ad affrontare i problemi della Città e che si sta allontanando sempre più dalla gente e dai suoi problemi.
Ma – questo è il punto – la Città aveva dato il mandato amministrativo non al ristretto cerchio magico del Sindaco (rappresentato dalle due liste civiche Demos e Rimettiamo in moto la Città) che era stato invece clamorosamente bocciato nel 2019, bensì a una coalizione ampia e rappresentativa nell’ambito della quale, in particolare, il PD doveva svolgere un ruolo di garante.
Quel civismo sta dimostrando tutti i suoi limiti culturali e politici e sembra destinato a un clamoroso fallimento. Rispetto al quale, le forze politiche di Centrosinistra (tutte) sono chiamate a prendere le distanze per non essere coinvolte in una debacle sempre più probabile che, però, a questo punto, è giusto riguardi solo coloro che hanno effettivamente assunto tutte le decisioni e che dovranno assumersi le relative responsabilità.
L’analisi “ab imis” di Francesco Stolfa è completa ma non particolarmente originale. Molte cose si sapevano, altre più in dettaglio no. Dalla ricostruzione dettagliata della congiuntura di elementi favorevoli che hanno portato alla affermazione di Corrado De Benedittis e del “suo partito” diviso in lato A (Demos) e lato B (Rimettiamo in moto la città) mancano alcuni elementi decisivi. Elementi decisivi prima e soprattutto dopo la elezione di Corrado De Benedittis a sindaco di Corato.
Gli elementi decisivi che sono stati omessi da questa analisi sono relativi non al partito di Corrado ma al PD.
Il primo elemento è il fatto che colpevolmente ma forse in modo interessato il PD (o la parte silenziosa della sezione di Corato) non ha mai chiarito, affermato, preteso e controllato che la sua fosse la “golden share” della percentuale vincente dei voti di Corrado. Il PD ha mantenuto sin dall’inizio una posizione ancellare per convenienza e per mimesi in quanto molti candidati nelle liste del partito di Corrado o comunque nel suo entourage, seppure non proprio nel cerchio magico, erano appartenuti al PD o erano simpatizzanti del partito.
Il PD avrebbe invece dovuto mettere subito i paletti e le condizioni, di uomini e di programmi. Invece ha fatto finta di niente. Hanno fatto nel PD le gatte morte, pensando alle proprie convenienze immediate e non al futuro di Corato.
Dopo le elezioni, visto l’atteggiamento debole e sussiegoso del PD, Corrado ha semplicemente tirato le somme. Si è ricordato che due più due fa quattro ed è andato disinvolto per la sua strada. Anzi ha creato il pregiudizio proprio nel PD assegnando ad Addario figlio un assessorato con Addario padre consigliere. Insomma ha messo a regime il nepotismo, facendo dello stesso un elemento di grave debolezza del PD. Il PD ha abboccato perché a qualcuno così conveniva. Di lì in poi hanno fatto a gara a trovarsi una posizione di convenienza sia nel PD sia soprattutto uscendo dal PD come ha fatto l’Assessora Bucci e il consigliere Mascoli che si è ritagliato uno spazio esclusivo ma improduttivo nella gestione delle questioni della sanità, una specie di “para-assessore”.
Senonché ad un certo punto è venuta fuori, come una sorta di Giovanna D’Arco coratina, la consigliera Nadia D’Introno che non solo ha ridato dignità ad un Consiglio comunale fantoccio ma ha scompaginato tutto; sia nel “partito doppio” di Corrado, sia nel partito del “doppio gioco” del PD.
Il bello è che nessuno ha messo alla porta Nadia D’Introno. Non l’ha fatto Corrado e non l’ha fatto il PD. Che non lo abbia fatto Corrado c’è poco da meravigliarsi: ormai sin da dopo le elezioni egli gettò la maschera della coerenza, della lealtà e della onestà politica. Che non lo abbia fatto il PD è invece cosa gravissima, atteso che la consigliera D’Introno era pure stata indicata come capogruppo. Cioè dietro il candore, la combattività e la preparazione della D’Introno il PD ha mascherato fino ad oggi le proprie convenienze ed anche debolezze.
Pertanto, l’analisi di Francesco Stolfa va integrata anche di questi elementi. E non solo di questi, perché ci sarebbero da dire un mucchio di cose su altre due formazioni politiche che, per convenienza e per solo opportunismo di gente che non nomino ma che Stolfa conosce benissimo, hanno permesso a Corrado, tomo tomo e fesso fesso, di papparsi la città e di imporre quella rivoluzione gentile che, come si dice da noi, è “tutta paglia senza spighe”.
Ma adesso siamo ad un punto di non ritorno perché il fuoco non è più nel PD ma anche nel partito di Corrado, anzi nella coscienza di qualcuno a partire dal consigliere Arsale, che in coscienza non se la sente più di prendersi responsabilità facendo anche la “marionetta alzamano”, dentro e forse anche fuori il consiglio comunale.
Staremo a vedere.