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Corrado in camicia nera

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Mussolini nella sua ultima intervista al giornalista Ivanoe Fossani – siamo a marzo del 1945 – pronunciò una frase che ha un fondo di verità: “Io non ho creato il fascismo, l’ho tratto dall’inconscio degli italiani”. Benito, da giornalista che aveva il suo genio nella propaganda, intendeva anche dire che la ritualità del fascismo, il suo modo di apparire e il suo modo di colpire l’immaginario collettivo erano esattamente sulla stessa lunghezza d’onda dell’Italiano medio e tali da poter essere applicati per gli stessi scopi anche al variare del messaggio. In sostanza, il fascismo termina come regime nel 1945, ma quella retorica, quella gestualità, quel modo di articolare frasi ad effetto e concepire riti collettivi rimbomba ancora oggi e viene utilizzato anche inconsciamente dai rappresentanti politici più disparati.

Su questa linea si pone in un certo senso anche Umberto Eco quando parla di “Ur-Fascismo” (o “fascismo eterno”), distillando dal fascismo storico alcuni archetipi che possiamo trovare invariati anche nel dibattito politico attuale. A differenza di Eco, però, noi siamo attratti anche dalla forma con cui viene “incartato” il messaggio e non possiamo tralasciare la lezione di Gabriele D’Annunzio, precursore per certi versi di Mussolini, che fu abilissimo nel coniare frasi ad effetto, modi di dire, nomi e soprannomi, slogan pubblicitari e molta della ritualità che è poi trasmigrata nel ventennio.
Assistendo al Consiglio Comunale di ieri – 7 luglio 2023 – abbiamo avuto l’ennesima conferma. Quando si arriva alle corte Corrado sbotta e cambia completamente tono di voce. La sua cadenza diventa perentoria e ricorda molto da vicino il ritmo dei discorsi dal balcone. Ne ha avuto sentore Ignazio Salerno di Direzione Corato che è intervenuto dicendo: “Sindaco… vuole intimorire i Consiglieri…?” Lo stesso incipit del discorso con il profluvio di saluti a “Consiglieri, Assessori, Revisori, Presidente del Consiglio, cittadini e cittadine in sala e a casa…” ricorda molto da vicino il “Combattenti di terra, di mare e dell’aria, camicie nere della rivoluzione e delle legioni, uomini e donne d’Italia, dell’impero e del regno di Albania…” del giugno del 1940. La ritualità del modo di dire che abbiamo osservato sia nella rivoluzione fascista di Mussolini che nella rivoluzione gentile di De Benedittis fu colta argutamente dal principe De Curtis che ogni qualvolta entrava nelle vesti di Totò in un ambiente chiuso, casa o vagone ferroviario che fosse, ripeteva tutta la sfilza di appellativi della gente che chiamava a raccolta: “Autisti, fuochisti, macchinisti, scambisti, lampisti, gente di fatica…” – la tragedia si volge sempre in farsa.
Ogni rivoluzione a ben guardare si fonda sempre su una marcia. Ne dà notizia sul suo profilo Facebook il più fido dei fidi, l’encomiabile Giuseppe Quercia, quando racconta della marcia su Perugia (marcia della pace e della fraternità) cui ha partecipato anni addietro con l’attuale Sindaco – “Fu una mobilitazione senza precedenti dalla Puglia ed avemmo ragione” – e di cui il Sindaco dà notizia ogni anno invitando tutti alla partecipazione.
Ai marcisti si aggiungono i moderni “sansepolcristi” (sansepolcristi erano detti coloro che potevano vantare un’adesione al partito fascista già in occasione dell’adunata di Piazza San Sepolcro a Milano nel 1919): fra gli Assessori alcuni possono vantare questo titolo così come tanti fra i simpatizzanti ricordano i comuni trascorsi con Corrado in quella o questa associazione a suggellare un’appartenenza che è antecedente alla presa del potere.
L’aver partecipato alla marcia e l’essere stato a capo di un’associazione o di una lista nell’orbita di Corrado dà poi diritto ad ulteriori onorificenze, ben più concrete della “sciarpa littorio” di mussoliniana memoria, e delle quali abbiamo tangibile traccia consultando l’albo pretorio del Comune.
E’ un modo di procedere questo tipicamente italiano, molto diverso ad esempio da quanto avveniva in Russia durante il regime sovietico, in cui si tende a formare una nuova élite basandosi su un percorso comune fatto di eventi collettivi cui Caio ha partecipato e Tizio no. La rivoluzione gentile di De Benedittis, infatti, non ha la pretesa di essere per tutti, ma solo per i migliori tra noi e – così come avveniva durante il ventennio – non è obbligatorio aderire al movimento che rimane riservato ai prescelti, ma è vietatissimo mettere in dubbio l’autorità del capo o far circolare ipotesi tendenziose o disfattiste.
Di questo atteggiamento mentale, anch’esso tipicamente italiano, ne fanno le spese tutti i non allineati – compresa la nostra persona e il giornale da cui scriviamo – e a tal fine sono istruite squadre di moderni picchiatori che usano i social e non più il manganello e l’olio di ricino. Per fortuna la rivoluzione gentile è circoscritta a Corato e crediamo fortemente che qualcuno a Trani vorrà ascoltarci se intenderemo porre all’attenzione del magistrato alcuni scritti in cui ci accusano addirittura di essere mandatari di “accuse di stampo veramente mafioso”: anche questo gioco che mira a trasformare l’aggredito in aggressore non è un’invenzione recente.

 

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