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Corrado e la sindrome di donna Prassede

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La lettura de “I promessi sposi” offre sempre infiniti spunti per interpretare la realtà contemporanea. I tipi di Don Ferrante ovvero del dotto vacuo e inconcludente, del Conte Zio ovvero del politico che è solo apparenza e voglia di potere, di Antonio Ferrer ovvero del politico populista che per compiacere al popolo impone un provvedimento che in realtà peggiora la carestia già in atto… sono costantemente presenti nelle vicende locali e nazionali e le loro maschere sembrano adattarsi alla perfezione per individuare più di un carattere fra quelli che costellano l’attuale Amministrazione Comunale.

“Abbado a fare l’oste” – potremmo dire per descrivere la nostra situazione, ma in questo distacco non ci esimiamo dall’esprimere – con molta prudenza – una nostra valutazione complessiva sull’andamento delle cose. Per amore di sintesi, è nostra convinzione che il tipo dominante che meglio descriva per intero questa Amministrazione sia quello di Donna Prassede. Chi era costei?

Donna Prassede era una donna di alto bordo, moglie di Don Ferrante, “molto inclinata a far del bene”. Continua il Manzoni: “Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso vanno come possono. Con le idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve fare con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care…”.
Donna Prassede, insomma, basandosi sulle sue convinzioni, stimava bene ciò che in pratica sortiva nell’effetto opposto e – per un’innata superiorità morale, sentendosi anche dalla parte del giusto – imponeva senza remissione i suoi rimedi che spesso erano peggiori del male, non fermandosi neanche difronte ai lamenti dei malcapitati: il bene infatti bisogna farlo per forza.

Così oggi a Corato si fa un gran parlare di diritti, inclusione, pari opportunità… tutti temi nobilissimi e da far la prima figura in un trattato di economia politica; si propongono convegni, incontri, eventi organizzati dalle varie associazioni composte dalle poche persone (sempre le stesse sotto etichette diverse) che sono di puntello a questa Amministrazione, ma in quale contesto? Possibile che salendo sul pulpito non si rendano conto della situazione in cui versano coloro ai quali stanno rivolgendo la predica?

Una comunità in cui i bambini sono pochi in confronto agli adulti, una città in cui buona parte dei giovani più preparati è andata via e in cui i giovanissimi già progettano di partire, un contesto in cui intere famiglie pensano di spostarsi altrove a fronte di negozi chiusi, prezzi delle case alle stelle, strade deserte e un livello di insicurezza percepito che aumenta. Dissertiamo di povertà, esaltiamo i diritti civili, lottiamo strenuamente organizzando sit-in e marce – è una cosa nobilissima –… ma chi dovremmo includere? Dove? Quali sono le priorità in una situazione in cui più di una generazione ha perso le sue certezze e i più giovani arrancano per trovare uno spazio che dia almeno dignità?
Certo, chi è nato in una famiglia agiata e poi è approdato al pubblico impiego è portato a credere che i diritti sociali siamo ormai un fatto acquisito, che – caschi il mondo – ci sarà sempre lo stipendio garantito per tutti e soprattutto per sé. La realtà è differente e il termometro della situazione è principalmente nelle mani di commercianti, artigiani, imprenditori… tutte categorie non rappresentate nell’Amministrazione De Benedittis (ne abbiamo parlato più volte).

Accade così che – senza alcuna premura – si arrivi alla fine di Novembre per pensare alla organizzazione del Dicembre, mentre le iniziative nei paesi vicini sono già in pieno fermento e parte dei nostri stessi concittadini ha già fatto altrove le sue spese. Accade anche che, in intere strade piene di locali sfitti più che di negozi, i commercianti abbiano perso la speranza e non abbiano più neanche la forza di fare da sé. In un clima in cui si avverte forte la disperazione e in cui probabilmente qualcosa di irrazionale sta covando, ecco che il Sindaco e l’Amministrazione – convinti di fare un gran servizio alla comunità – ci parlano dei tanti sintomi più o meno evidenti del malessere senza però riuscire a individuarne le cause e senza fare nulla per alleviarne ameno le manifestazioni esteriori. Questa Amministrazione, insomma, è come il medico che a fronte di una persona con difficoltà respiratorie non faccia la diagnosi (polmonite), non curi i sintomi (la tosse), ma prescriva un purgante che male non fa e che in alcuni induce anche un senso di liberazione e contentezza.
Dove ci condurrà Donna Prassede? Ella non è certamente la causa di un male che ha radici più antiche, ci sembra però un aggravio per il malato essere capitato tra le sue grinfie.

 

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