Home Politica Corrado e il fallimento dei “professori”

Corrado e il fallimento dei “professori”

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Lo abbiamo ripetuto più volte: l’attuale Giunta Comunale è composta prevalentemente da laureati – fa eccezione proprio l’Assessore alla Politiche Educative e Culturali – nella quasi totalità dediti alla libera professione. Sono assenti in Giunta, così come sono poco presenti in Consiglio, gli esponenti delle categorie produttive: artigiani, imprenditori e commercianti. De Benedittis quindi ha inteso dare un’impronta ben netta all’Amministrazione, facendo chiaramente intendere come l’alto profilo ricercato negli Assessori vada in concreto a coincidere con l’elevato tasso di istruzione.

Va da sé che un eventuale insuccesso dell’Amministrazione De Benedittis non possa solamente intendersi come il fallimento di una parte politica (la Sinistra o il Centrosinistra), ma vada piuttosto a connotarsi come una debacle – l’ennesima a Corato – dei “professori”, intendendo per “professore”, secondo l’usanza popolare, non solo chi svolga la professione di docente ma, più in generale, chi abbia studiato fino al conseguimento della laurea.
La questione rappresenta un problema serio e trasversale agli schieramenti: il rischio per i tanti che speravano in un cambiamento è quello di veder tornare in auge un certo ceto politico molto pratico e svelto, ma poco incline alle arti del trivio e del quadrivio. In sintesi, ci sono concrete possibilità che l’impopolarità di questa Amministrazione vada a rafforzare l’anomalia tutta coratina che si sostanzia nella logica del poco e subito, perdendo di vista le strategie di più lungo respiro e di orizzonte più ampio. Il paragone, ad esempio, può essere fatto con la vicina Ruvo di Puglia: a Corato a partire dal secondo dopoguerra e in maniera parossistica dagli anni ’70 è stata consentita e favorita l’edificazione di ville e villette in area agricola, a Ruvo no. Nel breve termine Corato si è avvantaggiata: le imprese hanno lavorato, il Comune ha incassato, i professionisti hanno fatturato… ma è nel lungo termine che Ruvo di Puglia, preservando il suo agro, sta progredendo.
Abbiamo detto che il fallimento di De Benedittis e della sua Amministrazione non sarebbe il primo insuccesso a Corato dei “professori” al potere, ma l’ennesimo: dovremmo chiederci perché.
Innanzitutto dobbiamo osservare che Corato è la periferia di una Nazione in declino, poco connessa quindi con le principali dorsali che alimentano i movimenti artistici, culturali e dell’innovazione. I “professori” nostrani sono portatori di una cultura libresca che non è sostanza ma forma e apparenza, priva di legami con il contesto e più propensa ad interessarsi dei fenomeni quando essi hanno già sprigionato la loro energia, attribuendo cioè più risalto non al fatto ma alla sua narrazione. La cultura così interpretata diviene quasi un limite, configurandosi in una ritualità che non apporta nessun elemento concreto alla risoluzione dei problemi quotidiani.
In secondo luogo nessun “professore” a Corato negli ultimi 20 anni è stato portatore di un progetto alternativo che per essere rivoluzionario deve impattare sull’economia locale cambiando le forme e i circuiti della produzione e della ricchezza. A Corato, oggi come in passato, la lotta viene fatta su una manifestazione in più o in meno, sul concerto etnico al posto di un’esibizione di Bobby Solo, su un patrocinio dato o negato: il “professore” vuole rivoluzionare la forma, non vuol cambiare i rapporti tra centro e periferia, tra benestanti e nullatenenti, tra giovani e vecchi, tra uomini e donne, tra Italiani e immigrati… limitandosi a gesti simbolici che “impegnano poco e fanno comparire”. In assenza di un progetto nessun cambiamento è possibile, facendo risaltare semmai l’immobilismo e l’inefficienza rispetto ai tempi di “quando c’era lui”.
In terzo luogo Corato è terra di emigrazione. Tra i giovani molti di coloro che dopo aver conseguito la laurea hanno inteso sviluppare percorsi innovativi o specialistici hanno lasciato la Città, mentre altri che sono rimasti si sono orientati in prevalenza verso il lavoro dipendente – meglio se in un ente pubblico – oppure vivacchiano in attesa di tempi migliori, accontentandosi di redditi anche molto inferiori di quelli di un impiegato. Sono rari i percorsi di successo professionale o imprenditoriale da parte dei laureati nostrani che giocano in casa, trattandosi poi di casi quasi mai legati alle dinamiche e alle specificità locali, come a dire: “vivo a Corato ma campo altrove”. Questo fenomeno ha creato una spirale perversa che svilisce il valore delle professioni intellettuali le quali diventano sostenibili nella mentalità locale solo come dopolavoro o in aggiunta all’impiego prevalente ovvero si rendono praticabili unicamente come forma di volontariato.
L’Amministrazione De Benedittis è il distillato di tutte queste profonde contraddizioni con l’handicap di non riconoscere il suo limite e la sua parzialità priva come è dell’apporto di interi settori dell’economia locale. Noi come cittadini corriamo un duplice rischio: alla vacuità dell’attuale rivoluzione gentile che si sostanzia in un minuetto tra cicisbei molto attenti nell’incasellare le desinenze (assessora, presidenta, ministra,… tutti e tutte…), potrebbe contrapporsi a breve e quasi per reazione la restaurazione della “Corato da bere” tutta centrata sul presente e senza una prospettiva a lungo termine. In quest’ultimo caso – il ritorno della “Corato da bere” – presto staremo tutti meglio, i problemi semmai saranno dei nostri figli ai quali dovremo comunque ricordare che la colpa è nostra per aver dato fiducia ad una rivoluzione con le polveri bagnate.

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