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Corrado, cosa andiamo facendo?

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Al nostro Sindaco, docente di filosofia, piace la “foglia mista” – lo ho già detto – ovvero quel sincretismo culturale che parrebbe unire Don Tonino Bello e Ernesto Che Guevara in una immaginaria linea difensiva a protezione di tutti gli oppressi. Al di là delle citazioni intervallate, una volta a destra e una volta a sinistra, non si è riusciti a sapere molto di più, ovvero non si comprende ancora se si è di fronte ad una posizione del Sindaco basata su una teoria organica e riconosciuta ovvero se si ha che fare con il tartufismo di chi vuole la botte piena (il Centrosinistra) e la moglie ubriaca (l’elettorato cattolico e ultracattolico).

Il Sindaco – probabilmente lo sa – è anche qui su una strada sdrucciolevole sia pur da un punto di vista puramente ideologico.
Se infatti dovesse ammettere la organicità della contaminazione tra dottrina cattolica e marxismo incapperebbe in un precedente illustre, la Teologia della Liberazione, che ebbe il suo seguito soprattutto in America del Sud intorno agli anni ’60 del secolo scorso e che fu disapprovata da Giovanni Paolo II (Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede era allora Joseph Ratzinger). Per questa via dunque la strada è sbarrata: il Sindaco può fare qualche cenno, qualche citazione qua e là, ma se accettasse di uscire in campo aperto assumerebbe una posizione scomoda per una buona parte del suo stesso elettorato.
D’altro canto, Corrado non potrà mai neanche ammettere di utilizzare delle referenze così importanti – Don Tonino Bello e Ernesto Che Guevara – per puro opportunismo, dosando le parole a seconda dell’uditorio. E allora che fare? Il Sindaco stretto tra i due corni del dilemma, traccheggia, borbotta, balbetta, si lascia scappare una parola qua e là, simile ad una pignatta messa sul fuoco ed arrivata al limite di ebollizione.
In assenza di un retroterra ideologico chiaro e condiviso, il Sindaco e la sua stessa coalizione sbandano costantemente, ritrovandosi però in un denominatore comune: la volontà di rivoluzionare la nostra comunità, sia pur gentilmente.
La necessità storica di una rivoluzione, sganciata da un pensiero coerente, non si può trasformare in prassi (questo è l’ABC del rivoluzionario) ed ecco dunque che, al di là delle parole rimbombanti, nessuno – dal Sindaco fino al messo del Comune – sa che fare: si vivacchia alla giornata e si tira a campare, sperando che in ogni caso dalla gran tavola imbandita del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) qualcosa arrivi (e arriverà comunque!) anche a Corato.
A questo gioco che somiglia molto alla “mosca cieca” prendono parte anche molti concittadini – i migliori tra noi – ai quali l’idea della rivoluzione non dispiace. Il punto è che nella parola “rivoluzione” ognuno vede quel che più gli aggrada, tanto che a fronte di un Sindaco che parla di ermeneutica del fatto agito come necessità immanente si contrappone una miriade di richieste di cambiamento provenienti dai cittadini che riguardano le buche stradali, la potatura degli alberi, le siepi dell’estramurale, la pozzanghera sotto casa che, quando si riempie di acqua e passano le macchine, sporca di schizzi il portone… ognuno in fondo cova una volontà di cambiamento.
In buona sostanza, un cieco vuol guidare un gruppo di sordi con cui non ha in comune nessun linguaggio, neanche quello dei segni. Ecco quindi che mentre gli altri Comuni dell’Italia e della Puglia sono già molto avanti nella strada della progettazione e della valorizzazione della comunità attraverso i fondi europei, a Corato siamo arrivati a realizzare un convegno sul tema PNRR e a ventilare alcune idee (il rifacimento dell’estramurale, l’abbellimento di via Duomo…) che tutto possono essere fuorché rivoluzionarie e avanzate o anche portatrici di reale sviluppo: è un maquillage al massimo, non una rivoluzione, mettendo insieme il problema N. 1 per molti concittadini (le buche stradali) con la volontà del Sindaco di operare un cambiamento visibile. Come dire: volevamo trasformare Corato in una città sul modello nord europeo – Oslo o Copenaghen – e ci accontentiamo di realizzare almeno qualcosa che somigli al vialone di rappresentanza costruito a Tirana durante il fascismo oppure alla porta di accesso di una Beirut 2.0.
La verità vera è che questa Amministrazione non ha nulla da dire e quel che po’ pensa non lo può neanche esporre a tutto tondo. “Cosa andiamo facendo?”

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