A cura di Gaetano Bucci
Non so perché ma ho da sempre in qualche modo assimilato il comportamento politico di Gino Perrone a quello di cui si narra del filosofo e matematico Pitagora che presso Crotone organizzò una sua comunità di seguaci. Alla gente comune i pitagorici parlavano in modo semplice e di cose facilmente comprensibili, tra di loro invece discutevano di “cose elette” e, tra queste, proprio di filosofia, di politica e di matematica cercando cosi di dare risposte umane anche a problemi divini.
I matematici e gli acusmatici erano i due gruppi di seguaci più vicini a Pitagora, il quale non trasmetteva loro solo teoremi e conoscenze, ma indicava e prescriveva un preciso modo di comportarsi e un originale e rigoroso stile di vita.
Diversamente dai “matematici”, che costituivano il vero “cerchio magico” della comunità, ai seguaci “acusmatici” era fatto divieto di vedere in faccia il maestro, ma solo di poterne ascoltare la parola e i discorsi. Il maestro, infatti, quando parlava loro era solito farlo stando di spalle e ben nascosto dietro una tenda.
Per questi motivi non solo le scienze pitagoriche rivestivano un’aura di mistero ma anche il maestro era considerato una sorta sommo sacerdote, oltre che capo indiscusso della scuola. E, sempre per questa ragione, Pitagora è da sempre considerato uno dei maggiori riferimenti per le scienze occulte, per l’ermetismo e per alcuni sodalizi segreti.
Ora il confronto sembrerà esagerato, inopportuno e improponibile, però sotto certi aspetti il nostro bravo – per dire di tutti- Gino Perrone ha da sempre, senza neanche saperlo, organizzato e seguito il modello Pitagora. Sin dai lontani tempi della militanza nella Democrazia Cristiana si favoleggiava delle sue capacità di comandare nel silenzio più impenetrabile e nella riservatezza più profonda. Le maggioranze, i direttivi e lo stesso segretario di quel partito si avvantaggiavano del suo muto lavoro di collettore di tessere e catalizzatore di consensi. Si dice che dagli anni settanta in poi non ci sia stato sindaco di Corato, salvo Luigi Di Gennaro e quelli di centrosinistra, che non sia passato attraverso il suo placet.
Da quando fu eletto sindaco per la prima volta, circa venti anni fa, intorno a Gino Perrone c’è stato sempre un ristrettissimo e impenetrabile gruppo di “amici fidati”, e poi, più alla larga, tanti seguaci tenuti ad ascoltarlo e seguirlo senza, – quantomeno metaforicamente – guardarlo mai in faccia e soprattutto senza discuterne gli orientamenti, le decisioni e gli ordini.
È stato questo rigido e rigoroso “metodo pitagorico” che ha permesso a Gino Perrone, di ordinaria cultura e modesto eloquio ma di insuperabile capacità nel governo degli uomini, delle relazioni e delle situazioni, di ascendere la scala del potere fino a diventare per due volte sindaco di Corato, presidente dell’ANCI della Puglia e poi finalmente senatore fino a che il vento a suo favore non è cambiato al rovescio. Il che, in verità, non è avvenuto solo a suo danno ma anche a detrimento di tutta la città. È infatti noto come, dopo la fine del suo secondo mandato di sindaco, una decina di anni fa, Corato amministrativamente non si è più raccapezzata. E questo è avvenuto per il semplice motivo che il suo “potere pitagorico”, tanto silenzioso e misterioso quanto incisivo ed efficace, non è mai stato superato e annullato. Ciò è avvenuto perché Perrone, alla maniera di Pitagora, ha saputo mantenere intorno a sé i due cerchi magici, quello molto ristretto dei fedelissimi e quello meno ristretto e più vario nel tempo degli “acusmatici”, di coloro cioè che ne hanno subìto gli insegnamenti e gli ordini, senza mai pretendere di vederlo in faccia, oltre quella tenda, più simbolica che reale, in cui egli si è mantenuto.
Ora, dopo le successive sconfitte elettorali e la volatilizzazione dei partiti di riferimento, i due gruppi dei suoi seguaci si sono un po’ “evaporati”. Il senatore non è più senatore e Corato non è più direttamente governata né da lui e neanche da persone del suo cerchio magico. Almeno così molti, ma non tutti, credono che sia. Ad avvalorare l’idea che il “fantasma pitagorico” di Gino Perrone si aggiri ancora tra le stanze del potere ed aleggi in città per interposte persone è stato proprio l’attuale sindaco Corrado De Benedittis che nottetempo ha avuto la “sensazione” della presenza di una pericolosa piovra dai misteriosi poteri tentacolari che tutto blocca e tutto stritola.
A questo punto, proprio perché Corato ha bisogno di uscire una volta per sempre da questa “cappa pitagorica”, in verità non proprio indirizzata verso la pura verità e il sommo bene, si rende necessario e improcrastinabile una sola cosa, quella del ritorno di Gino Perrone alla visibilità politica.
Egli ormai non ha più scelta, deve tornare dove lui stesso ha chiesto di stare e dove la città lo ha voluto, cioè sullo scranno di consigliere comunale a guidare l’opposizione per conto della sua coalizione.
Egli non può più fare il “gran maestro pitagorico”, specie in questo periodo in cui Corato ha bisogno di riprendersi.
Egli deve venir fuori da dietro la tenda del potere e del mistero. Egli deve fare il proprio dovere di rappresentante del popolo di Corato, partecipando come tutti alle assise del Consiglio comunale e a tutte le attività connesse a quel ruolo.
La patria, come si diceva una volta, si può servire anche facendo la guardia ad un bidone di benzina vuoto e non solo stando nella stanza dei bottoni.
Se ciò avverrà Corato tutta ne guadagnerà, soprattutto adesso che qualcuno, non si sa chi, la sta tingendo di “giallo forte”.
Pertanto caro Senatore, detto amichevolmente da libero cittadino, in Consiglio comunale… o ci vai o te ne vai.
Una terza possibilità non c’è.