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Campanelli d’allarme. Memorie di un militante di sinistra coratino più volte deluso da una sinistra fallimentare

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Qualcuno (sempre meno gente, per la verità ) pensa che io abbia criticato troppo, e troppo presto l’amministrazione De Benedittis. Ebbene vi chiedo di perdere cinque minuti del vostro tempo per comprendere fino in fondo il mio stato d’animo. Scusate se la prendo “da dietro dietro”, ma la storia viene da lontano.

La mia militanza politica giovanile.
Sono “un ragazzo degli anni settanta” che, come tanti suoi coetanei (non tutti), aveva fatto dell’impegno politico la sua principale passione giovanile. Noi ci divertivamo alla grande beneficiando delle conquiste sessantottine in tanti campi (sport, musica, rivoluzione sessuale ecc.) ma soprattutto facevamo politica. La mia estrazione familiare era piccolo borghese (madre professoressa e padre funzionario statale) ma alcuni eclatanti fatti di cronaca del mio tempo (strage di piazza Fontana e altri atti di terrorismo nero) nonché alcuni maestri carismatici (Aldo Mosca e Felice Tarantini, su tutti) mi hanno ben presto orientato a sinistra; con grave scandalo/spavento di diversi miei familiari (allora le cose andavano così) alcuni dei quali erano anche esposti politicamente in ambito democristiano. A sedici anni leggevo avidamente Lotta Continua, ero iscritto alla combattiva ARCI di Corato (attivissima anche su temi politici, con circa 140 iscritti) e al circolo liceale che quell’anno avevamo ribattezzato “Circolo Gramsci”. Davamo talmente fastidio che un giorno sfiorammo lo scontro con una squadraccia fascista venuta da Bari per darci una lezione. Ci salvarono 40 braccianti prontamente accorsi dalla Camera del Lavoro che si schierarono a nostra difesa scoraggiando i fasci, che se la filarono. Al Liceo era anche costituta ed attiva una Cellula Comunista alla quale aderii, e fu il mio primo contatto con il PCI. Quando i braccianti o i netturbini proclamavano degli scioperi, noi studenti scioperavamo per solidarietà e partecipavano alle manifestazioni. Abbiamo organizzato tre occupazioni del liceo, due delle quali sgomberate bruscamente dalla polizia (dopo 15-20 gg di occupazione). All’Università aderii all’attivissimo Collettivo di Giurisprudenza e Scienze Politiche e vissi la difficile stagione degli anni di piombo culminati negli omicidi di Moro, a Roma, e di Benedetto Petrone, a Bari. A 22 anni mi iscrissi formalmente al PCI e seguii da allora con impegno anche la vita amministrativa cittadina. Nel 1986 ero avvocato/militante della CGIL e seguivo tre importanti Camere del Lavoro fra le quali quella di Corato. L’anno successivo, sull’onda della popolarità che me ne era derivata e in “abbinamento” con una travolgente Maria Bovino (8 e 35 i nostri numeri sulla lista) venni eletto, insieme a lei, consigliere comunale del PCI. Ne nacque una stagione esaltante in cui il partito seppe svolgere una vigorosa azione di contrasto alla giunta in carica (DC, PSI, PSDI, PRI) nel consiglio comunale, unitamente a una forte mobilitazione nella società coratina. Emblematica fu la manifestazione a “tutela” del progetto di villa comunale alla zona 167 che in quel momento era minacciato da inconfessati ma chiari intenti speculativi, manifestazione che culminò nell’installazione (abusiva) di una serie di giostrine per bambini (per prendere possesso dell’area) e dell’enorme cippo in pietra recante la nostra “firma” che credo sia ancora lì, il tutto finanziato anche dalle opere donate da tutti gli artisti coratini.

La svolta.
Fino a quel momento eravamo rimasti sempre all’opposizione. L’azione di quella prima parte della consigliatura stava dando i suoi frutti: aveva messo in crisi il rapporto fra i socialisti (che intanto si erano riunificati: il PSDI era confluito nel PSI) e la DC. Anche nel PCI, però, era successo qualcosa: Pasquale Lops era sempre più impegnato in Parlamento dove era stato eletto, prima come deputato e poi come senatore. Ciò aveva fatto emergere un nuovo gruppo dirigente dalla forte connotazione antisocialista. Si saldarono quindi in quel momento l’esigenza della DC e quella del PCI di ridimensionare un PSI locale ormai troppo forte. Fu, da parte nostra, un grave errore politico che probabilmente è alla base di tanti guai successivi occorsi alla sinistra coratina. Personalmente mi opposi strenuamente all’operazione: ritenevo assurda e suicida una alleanza con la DC coratina, nettamente lattanziana (destra DC) senza neanche avere la copertura politica del PSI. Solo pochi altri compagni mi seguirono in questa posizione critica: purtroppo l’antisocialismo è sempre stato il vero limite del comunismo italiano, a Corato come altrove. In quella giunta mi rifiutai di entrare, rimasi in consiglio a fare il capogruppo ma con difficoltà crescenti che poi esplosero quando la maggioranza tentò di adottare una delibera chiaramente illegittima che riguardava peraltro la Commissione incaricata della redazione del primo Statuto comunale, che io avevo presieduto. Era il 1992, la delibera fu ritirata dopo due giorni di battaglia in consiglio, ma il clima nel PCI, per me, era ormai invivibile: lasciai quindi un partito che ormai si chiamava PDS e che aveva avviato (dopo la svolta della Bolognina) il suo percorso di trasformazione in una sorta di improbabile formazione radicale di massa; aderii così al PSI, anche nella convinzione che dovessi dare il mio contributo per salvare il partito storico del socialismo italiano che, nel frattempo, veniva ormai travolto da Tangentopoli. In realtà, il PSI, poco dopo, decise di suicidarsi: non aveva le energie per autoriformarsi e per reagire al disastro, come io chiedevo. Nel frattempo, l’anomala giunta DC-PDS naufragò malissimo, decretando la fine dell’impegno politico pubblico dei principali dirigenti del PDS locale che l’avevano fortemente voluta.

La seconda Repubblica
Cominciò così la stagione della seconda repubblica, determinata anche dalla nuova legge elettorale dei Comuni che a Corato fu caratterizzata dalla elezione di Luigi Di Gennaro, il sindaco galantuomo, espresso solo dal Movimento Sociale, senza alleati. Nel momento in cui erano andati in crisi i partiti di governo, a Corato, il PDS non aveva potuto rappresentare una alternativa credibile proprio a causa dell’alleanza sbagliata con la DC, appena conclusa. Passammo, dunque, qui a Corato, dalla egemonia della destra DC a quella dei neofascisti. Davvero un ottimo risultato. Delusione enorme e sinistra coratina in frigorifero per diversi anni.
Il risveglio avvenne qualche anno dopo, nel 2000, attorno alla figura di Ruggiero Fiore che approfittando anche della divisione del centrodestra e grazie a una campagna elettorale magistralmente organizzata da quello che sembrava l’enfant prodige della politica locale (Aldo Patruno), alla guida di un centrosinistra compatto, compì il miracolo e venne eletto sindaco. La cosa suscitò un entusiasmo enorme in tutti noi: di fatto era prima volta nel dopoguerra che l’amministrazione della città passava saldamente nelle mani del centrosinistra. Il primo errore che commise il nuovo sindaco fu quello di dimenticarsi di quell’enfant prodige che lo aveva così ben sostenuto e che poteva e doveva diventare il cardine della nuova giunta. Dopo questo errore, la maggioranza ne commise molti altri, finendo per logorarsi giorno dopo giorno. Il programma elettorale fu presto dimenticato e la giunta si avvitò progressivamente su una serie di problemi amministrativi rispetto ai quali non si rivelò all’altezza. Emersero poi fratture e divisioni che nel giro di due anni la fecero cadere. Ruggero Fiore, nella successiva tornata elettorale, si candidò come consigliere comunale ma non fu eletto. Anche lui abbandonò così la vita politica attiva. La delusione, il contraccolpo emotivo per tutta la sinistra fu enorme, come altissime erano state le aspettative suscitate e poi disattese.
Ne seguì la lunga egemonia personale di Gino Perrone: la città, delusissima, aveva finito per arrendersi a lui che rappresentava l’usato sicuro. Il centrosinistra precipitò ai minimi storici e molti attivisti mollarono la politica attiva. Ne seguì un lunghissimo dominio del centrodestra interrotto solo dalla brevissima parentesi dell’anatra zoppa di Renato Bucci. Anche nel suo caso, grandissimi entusiasmi iniziali poi frustrati pesantemente da una sconfitta dovuta, certo, alle difficoltà oggettive di una giunta senza maggioranza ma anche a gravi errori di una amministrazione forse troppo eterogenea che, nei fatti, non riuscì mai a decollare, a volare alto.

Corrado De Benedittis
Premessa tutta questa storia, fatta di tante lotte, tante illusioni, tanti entusiasmi sempre frustrati da altrettante delusioni, un militante di sinistra, che ha speso la sua vita nel tentativo di contribuire a cambiare la storia e il volto di questa città, non poteva non essere colto da rinnovato entusiasmo quando, nell’autunno dello scorso anno, ha visto il centrosinistra ottenere una vittoria piena e convincente, con una maggioranza potenziale solidissima di 18 consiglieri su 24, ottenuta da una coalizione (rectius: convergenza, come si amava dire per rimarcarne la piena comunione di intenti) che annoverava molte persone competenti e capaci, che consentiva di prevedere un governo qualificato della città; mentre il centrodestra aveva accusato pesantemente la sconfitta e sembrava un pugile suonato. Questa volta – abbiamo pensato tutti – le cose andranno bene perché le condizioni ci sono tutte.
E invece, il giorno dopo la vittoria, proprio subito dopo, ecco i primi, soliti campanelli d’allarme. Il neo eletto sindaco, probabilmente per l’incapacità di metabolizzare politicamente e soprattutto psicologicamente quasi due anni di competizione con l’altro pezzo di centrosinistra guidato da Vito Bovino (non so vedere altre spiegazioni), liquida con un calcio nel sedere il gruppo a questi legato perdendo così di colpo tre consiglieri. E contemporaneamente si rivedono in De Benedittis gli stessi atteggiamenti errati, autoreferenziali, narcisisti di Fiore, di Bucci ecc., anzi con tratti ancor più marcati ed evidenti. Insomma, ancora una volta, il neo eletto, commette gli stessi errori iniziali. Egli avrebbe dovuto sentirsi tremare i polsi dinanzi all’immane compito di governare una città di 50 mila abitanti, così importante dal punto di vista economico, in un momento peraltro delicatissimo sul piano sanitario, con un apparato amministrativo gravato da evidenti carenze di personale. In una situazione del genere, qualsiasi persona ragionevole che farebbe? Chiederebbe il contributo di tutti coloro che lo avevano lealmente sostenuto durante la campagna elettorale (senza chiedergli mai nulla, senza pretendere accordi scritti o contropartite di alcun genere, come si sarebbe fatto secondo i canoni della vecchia politica). E invece, niente di tutto questo. Egli decide di fare tutto da solo: nomina una giunta composta di persone assolutamente inesperte, non si fa consigliare da nessuno neanche nella scelta del (nuovo) segretario generale e si lancia in questa avventura con una leggerezza, una disinvoltura, una impreparazione davvero irresponsabili. A ciò si aggiunga una bella dose di arroganza che si esprime soprattutto negli attacchi violentissimi sui social verso chiunque osi esprimere il minimo dissenso, attacchi condotti da squadre di aficionados disposti a tutto pur di mettersi in bella evidenza con il nuovo padrone del vapore.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: a oltre un anno dall’insediamento De Benedittis è rimasto solo, circondato dalla suo stretto “cerchio magico”, quasi tutte le persone di spessore che lo avevano sostenuto si sono defilate; e nulla di importante è stato fatto, soprattutto nulla del programma innovativo, di cambiamento che era stato promesso è stato realizzato. Che fine ha fatto la promessa trasparenza amministrativa? L’impegno a fare del Comune una casa di vetro? Ad attivare tutti gli strumenti di partecipazione previsti dallo Statuto comunale? Si naviga a vista, fra mille difficoltà, si fa fatica a far girare la macchina amministrativa, si fa fatica a riprendere i dossier aperti dalle precedenti amministrazioni. E lo credo bene! Partendo da zero, senza alcuna esperienza, senza alcuna preparazione, senza personale. E intanto incombono gli impegni pesantissimi legati al PNRR. Da antico militante di sinistra, mi chiedo perché questo centrosinistra coratino debba continuare a commettere gli stessi errori e a regalarci le stesse delusioni?
Qualcuno dice: hai cominciato a criticare troppo presto, dagli tempo. È quello che abbiamo fatto le altre volte ed è finita sempre allo stesso modo. Questa volta l’esperienza deve insegnarci qualcosa: i sintomi della solita malattia sono evidenti e dovremmo aver imparato che se quella malattia la si trascura, se la si fa progredire, il risultato sarà ancora il disastro.
Un disastro che questa volta potrebbe determinare danni gravissimi alla città. Perché, se De Benedittis cade, neanche il centrodestra sembra in grado di riprendere il controllo della situazione.
E allora che potrebbe accadere? Beh non dimentichiamo che Corato non si trova in Padania, noi viviamo in una zona ad altro rischio di infiltrazione malavitosa e le organizzazioni criminali sono maestre nel colmare il vuoto della politica: hanno le risorse e gli agganci per poterlo fare, come dimostra il caso di molti comuni pugliesi, anche molto vicini a noi. E preoccupanti avvisaglie si stanno manifestando proprio in questi giorni: in città i fenomeni malavitosi sembrano aver compiuto un netto salto di qualità.
Per il bene di tutti, quindi, De Benedittis, deve rinsavire e rinsavire in fretta; il che vuol dire ricompattare il centrosinistra (aprendo al gruppo di Bovino), rinnovare profondamente la compagine di governo, magari sostituendola con una giunta tecnica di altissimo profilo (sul tipo di quella che ha risanato le finanze e la politica ruvesi) e ripartire dal programma elettorale ma anche dalla elaborazione di progetti qualificati per accedere al fondi del PNRR. Anche quello è un appuntamento che non aspetta (e che non possiamo mancare). Non abbiamo personale sufficiente? Allora sopperiamo, appunto, con assessori preparatissimi che su questa occasione si giochino una partita importante anche sul piano personale.
De Benedittis può ancora passare alla storia della città come il sindaco del cambiamento e della rinascita. Ma deve farsi un gran bel bagno di umiltà e dare una svolta radicale alla sua amministrazione. Il tempo che gli rimane, che ci rimane, è davvero poco. La città non tollererà altri quattro anni di selfie e di annunci privi di sostanza.

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