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Al primo posto l’interesse del Paese

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L’interesse del Paese è nelle preoccupazioni di tutti i partiti, da quelli che contano di più perché forniti di un certo numero di consensi a quelli che di consensi ne riscuotono pochi.

Insomma, comunque siano e comunque vadano le cose, i cittadini possono stare tranquilli e dormire sereni confidando nella classe politica che ha un solo chiodo fisso: l’interesse del popolo e del Paese nelle sue molteplici componenti.  

Anche quando le scelte sembrano palesemente andare a scapito della gente, c’è sempre un motivo che emerge subito  per giustificarle in nome del superiore interesse del Paese.

Grande e quasi commovente questo “interesse” che, oggi in particolare, viene sbandierato con maggiore energia proprio in quanto si registra la latitanza (= l’inerzia) delle forze politiche dinanzi ai problemi seri dai quali è  veramente arduo venire fuori.

In Europa qualcuno torna a mormorare sulla nostra scarsa capacità di agire anche in presenza di cospicue risorse finanziarie: 209 miliardi agganciati al cosiddetto Recovery fund costituiscono l’ancora di salvataggio, il provvidenziale assist per mettere ordine nei conti e nelle faccende di un certo rilievo.

E che è  toccato di vedere qualche tempo fa ? Confusione delle lingue  sulla programmazione e sulla destinazione dei fondi perché ogni singolo soggetto politico presente in Parlamento ha da dire  la sua, sempre,  e sempre … per l’interesse del Paese.

Intanto, le previsioni per il prossimo futuro non sono rosee: il tasso di disoccupazione schizzerà ulteriormente in alto, molte aziende continueranno a chiudere battenti, a fronte di nuove aperture (poche ma  confortanti), tantissimi  giovani penseranno di andare via.

Ma, a parte i numeri sempre ballerini specie in questa materia, il lavoro, quello concreto, sta mancando, colpa della pandemia che ha flagellato e continua a flagellare settori vitali come il turismo e la ristorazione, ma non solo della pandemia.

I finanziamenti destinati alle imprese sarebbero in grado di rimettere sui giusti binari i vagoni, non proprio comodi,  sui quali viaggiamo da parecchi anni verso imprecisate mete.

Stiamo barcollando senza una precisa cognizione del cammino da compiere, quasi del tutto impreparati ad affrontare il nuovo che ci  attende al varco, giudice impietoso e intollerante di fronte alle inadempienze accumulatesi nel tempo.

Sì, è vero: l’emergenza sanitaria è capitata ad aggravare una situazione in termini anche di dolorosi lutti,  ma le criticità erano già presenti nel Paese e le disfunzioni nella gestione della cosa pubblica pure.

Pochi e piccoli segnali positivi prima del covid, poi la discesa nei gironi della precarietà e delle ristrettezze per centinaia di migliaia di famiglie,  fino all’attesa decisione dell’Ue di intervenire con una massiccia dose di liquidità, dietro presentazione di piani esplicativi della spesa.

Su questo le volontà politiche si sono miseramente arenate mostrando i limiti di una cultura di governo povera di ossigeno, priva di intuizioni e di inventiva, debitamente mascherata con la ricerca di altre formule per giungere al solito obiettivo di realizzare l’interesse degli italiani, con parole che si sprecano.

E le elezioni invocate per rinnovare i quadri parlamentari, elezioni che avvengano oggi, domani o dopodomani,  a cosa servirebbero ?

Cavour ebbe modo di vedere un’Italia geograficamente fatta, essendo venuto a mancare il 6 giugno del 1861, circa tre mesi dopo la promulgazione dell’unità nazionale, datata 17 marzo.

Non ebbe, quindi,  modo di vedere neanche per un po’ come si potevano fare gli “italiani” che, nel pensiero di Massimo D’Azeglio, era del tutto indispensabile e forse ben più difficile dell’avvenuta unificazione del Paese.

Negli anni, non si è proprio riusciti a costruire una coscienza civile, nel senso autentico di cultura di appartenenza ad un unico ceppo; l’Italia è lunga e le differenze fra i suoi cittadini, esaminati da nord a sud, sono tante, da alcuni ritenute risorse, da altri assolutamente divisive e generatrici di graduatorie di merito, quando non di razza.

Quello che qui si lamenta è l’assenza appunto di una identità che induca a guardare oltre il recinto personale, ovvero corporativo o partitico, per dare spazio a quelle convenienze collettive che presiedono ad un organico avanzamento dell’intera comunità sulla via del progresso.

Sin qui, l’individualismo ha avuto la meglio e i danni sono stati enormi: ricorrere ai soliti pannicelli caldi come lenitivo per le innumerevoli parti dolorose non rende più e, comunque, si tratta di rimedi ormai superati.

Ora occorrono visioni chiare della realtà e numeri precisi per guidare la nazione: l’avventurismo,  il pressapochismo e il populismo che hanno distinto gli ultimi decenni hanno fatto comprendere che il ricorso alle consultazioni risulta infruttuoso se mancano preparazione, competenza e  senso dello Stato.

E chiamare il blasonato personaggio a districare l’ingarbugliata matassa, qual novello Cincinnato (cosa ripetuta di recente), significa, in fondo in fondo, occuparsi delle priorità momentanee,  per  poi tirare a campare.

Non va ! Non va così,  e peggio sarà se non si pensa di riparare recuperando i valori essenziali che possono aiutarci a forgiare una coscienza diversa.

Abbiamo proprio bisogno di una coscienza nuova che ci sensibilizzi e che ci abiliti a quella coesione sociale capace di farci comprendere come contribuire veramente all’interesse del Paese, all’interesse generale nel quale alberga il sano interesse di ognuno: è dal basso che deve salire l’incipit della svolta.

Uno sforzo per ciascuno di noi non semplice,  nel quale servirà senz’altro l’aiuto di  Chi  lassù ci ama.

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