“Ferri tutto per tutti”, era uno dei primi slogan vincenti di un’azienda coratina, partita dal nulla grazie all’abilità di 4 intraprendenti fratelli (Antonio, Filippo, Francesco, Riccardo), che ha fatto parlare di sé nel bene e nel male nell’intero stivale.
Economia locale e non solo, resa effervescente da un incredibile giro d’affari con parametri occupazionali alle stelle.
Ogni famiglia di Corato, aveva almeno un familiare coinvolto direttamente o indirettamente all’azienda precursore no-food, con una ricchezza, a volte ostentata, che si toccava con mano.
Un brand vincente, apripista di uno stile commerciale e di marketing (tra spot pubblicitari in stadi e in reti televisive nazionali), invidiato e copiato da tanti, specie nel genere del franchising, ma contemporaneamente cavia di questo sistema comunque relativamente nuovo, sulle cui ceneri hanno poi fatto fortuna altri gruppi.
È per questo che l’azienda è stata vittima di se stessa e di alcuni errori di inesperienza, per un processo di crescita vertiginoso, forse più veloce dei limiti della propria giovane organizzazione, ma anche tradita da chi non avrebbe dovuto farlo.
Sono stati in molti a decidere di abbandonare la nave in mare forza 10, pochi a decidere di dare una mano alla sua salvezza, nel rischio di affondarci insieme.
Ma nonostante tutte le pecche ed i problemi, era un gruppo che andava salvato a tutti i costi.
E di questo ne erano coscienti fornitori, banche, sindacati, lo stesso governo che aveva concesso l’amministrazione controllata, lo stesso tribunale di Milano, tranne che una parte molto ristretta di magistratura.
Questa, in sostanza, fregandosene di provvedimenti governativi, di commissari ad acta, nominati per risollevare l’azienda, a tutela di tutti (dipendenti, franchisee, fornitori, banche), il 3 dicembre 2003, decide con un colpo di spugna di tendere il pollice verso giù e di disintegrare l’intero gruppo FERRI, con una procedura fallimentare degna del più veloce Speedy Gonzales.
Scattano misure restrittive, oltre che per alcuni componenti aziendali, anche per i poveri commissari, di indiscussa professionalità e moralità, insediatisi solo pochi giorni prima.
L’opinione pubblica si spacca, tra colpevolisti, (specie chi negli anni è rimasto fuori) ed innocentisti. Qualcuno ci gode pure, molti ne soffrono, specie i franchisee che ne escono con le ossa rotte.
All’interno del gruppo, si ha netta l’idea di aver ricevuto un sopruso, di aver affossato un’impresa che doveva essere salvata e chissà perché non è stato fatto.
O meglio si sa perché, ma nessuno può farci niente, contro coloro che si vestono del ruolo di “padri-padroni” e paladini della giustizia.
Il decorso naturale della storia, solo pochi anni fa indicherà in modo chiaro da che parte corre la verità.
La stessa “buona giustizia” si auto smaschererà, ma rimarrà la rabbia ed il rammarico di aver buttato alle ortiche una bella realtà, che con i giusti correttivi poteva rimanere un fiore all’occhiello, orgoglio coratino e di aver posto sul lastrico centinaia di persone.
Il danno è fatto, ma la vita è una ruota che gira…..