Sono passati circa tre mesi dall’ordinanza, emessa dal tribunale di Lecce, che ha scosso la nostra città.
Un vero e proprio terremoto giudiziario che ha visto il coinvolgimento di una serie di figure coratine e i due magistrati Antonio Savasta e Michele Nardi.
Ci si chiede se la vicenda è ai titoli di coda e, a sentire alcune notizie, sembrerebbe quasi di sì, addirittura si ipotizza una probabile chiusura delle indagini da parte dei pm di Lecce dettata dal rischio della lungaggine dei processi e dal sempre più crescente numero di persone coinvolte.
Questo, almeno, quanto emergerebbe dalle notizie apparse su alcuni mezzi d’informazione.
Se vi fosse un riscontro, tali indiscrezioni potrebbero minare la credibilità della magistratura già messa a dura prova dai colleghi protagonisti delle vicende giudiziarie dell’ultimo periodo o, perfino dare adito a una “quasi” dichiarazione di resa con la conseguente impunità di alcuni soggetti ancora da indagare.
Le notizie apparse nei giorni scorsi sarebbero in contrasto con il lavoro incessante che la magistratura di Lecce e i carabinieri di Barletta (ndr) continuano a portare avanti nelle varie indagini, attraverso un lavoro minuzioso affinché piena luce sia fatta sull’intera vicenda.
Addirittura si ipotizza che a breve si possano concretizzare una seconda fase d’iscrizione al registro degli indagati e altre misure cautelari ai danni di ulteriori soggetti, su cui vige il massimo riserbo.
Nei giorni scorsi, infatti, sarebbero state ascoltate altre figure che potrebbero portare a riaprire fascicoli di inchieste che i due magistrati arrestati avrebbero trattato in passato.
Una su tutte forse la vicenda del gruppo Ferri che nel 2003 vide il fallimento della Genesi, la holding a capo della famiglia Ferri, condannata per reati fiscali con il conseguente sequestro di tutti i beni riconducibili alla stessa.
Il gruppo allora vantava circa 500 punti vendita in tutta Italia con un giro di affari di quasi mille miliardi di vecchie lire.
Quella condanna provocò danni considerevoli all’economia del nostro territorio e soprattutto la perdita del posto di lavoro di circa 3000 dipendenti.
Di certo non spetta a noi giudicare l’esito di queste vicende giudiziarie ma una revisione del caso sarebbe opportuna visto il “modus operandi” dei due magistrati arrestati.