Dopo il primo racconto dei vigili coratini sull’arresto degli stupratori delle coppiette che ha segnato una pagina nera di cronaca della nostra città, vi riportiamo attraverso le testimonianze dirette di Fedele Tarantini, Mimmo Rutigliano e Michele Rosito, vigili determinati a contrastare i crimini in città, un’altra triste vicenda che li vide protagonisti.
Era l’inizio degli anni 80 quando a Corato, si verificò qualcosa che avrebbe rovinato la vita di molti giovani.
La generazione di allora, ragazzi quasi tutti nati negli anni sessanta, era solita incontrarsi sul Corso e successivamente nella villa di Piazza Vittorio Emanuele.
In quel periodo non esistevano tanti pub o locali notturni, le uniche serate all’insegna del divertimento erano le feste private che si tenevano o sulle terrazze o nei garage, poche erano le trasgressioni che i giovani potevano concedersi fino a quando, una terribile sostanza fece la sua comparsa in città.
Era la droga, in particolar modo l’eroina, che per molti diventò paradossalmente un modo per evadere dalla routine di serate a volte monotone, inconsapevoli delle tragiche conseguenze a cui andavano incontro, mentre per altri diventava una fonte di guadagno attraverso lo spaccio che avanzava prepotentemente.
Seppur quel fenomeno vide la distruzione della vita di molti giovani, la nostra polizia municipale sin da subito cercò di arginare il problema con il proprio lavoro.
Abbiamo chiesto di raccontarci alcuni episodi verificatisi in quel periodo.
Cosa accadde a Corato nei primi anni ottanta?
Purtroppo all’inizio degli anni ottanta a Corato comparve per la prima volta l’eroina, una droga potente che mieteva molte vittime tra i giovani coratini, non solo, innescò anche una serie di reati come lo spaccio rapine e furti.
Vero che da parte vostra ci fu molta determinazione per contrastare quel fenomeno?
Si a Corato si avvertì tantissimo, il consumo della droga era sempre più crescente e, siccome “eravamo abituati a non farci i fatti nostri”, decidemmo di intervenire perché la situazione stava precipitando.
Ricordate un episodio che vi vide protagonisti?
Io (Fedele Tarantini) e Mimmo Rutigliano, nel dicembre 1980 prestavamo servizio di scorta dell’allora Ministro del Lavoro Di Gesi. Eravamo all’ingresso del Gran Salone ricevimenti in via Ruvo quando avvistammo una macchina con a bordo dei soggetti che subito destarono in noi dei sospetti.
Li intimammo di fermarsi ma i tizi continuarono la loro corsa, a quel punto decidemmo di metterci sulle loro tracce e iniziammo un lungo e pericoloso inseguimento terminato alle porte di Molfetta.
Non fu facile bloccarli e arrestarli, i soggetti opposero una forte resistenza ma, con i nostri modi convincenti noti a molti, riuscimmo ad ammanettarli; nel frattempo sul posto giunse a supporto la scorta ufficiale del ministro che ci diede una mano a trasportare gli arrestati presso il nostro comando.
Quale fu il motivo principale che convalidò l’arresto?
A seguito del fermo, durante la perquisizione nella loro auto rinvenimmo delle sostanze stupefacenti.
Da dove provenivano gli arrestati?
Erano in tre e tutti di Terlizzi.
Come mai si trovavano a Corato?
Durante l’interrogatorio ammisero che avevano acquistato la droga da spacciatori già noti alle forze dell’ordine di Corato.
Riusciste ad arrestare anche loro?
Certo, dopo vari pedinamenti e appostamenti decidemmo di fare irruzione nelle loro abitazioni dove trovammo altre dosi di droga pronte per essere spacciate, e li arrestammo.
Dopo questa operazione si verificò un tragico evento, Fedele te la senti di raccontarlo?
Purtroppo all’indomani degli arresti, già alcuni messaggi furono lanciati da parte degli interessati e nei nostri confronti iniziarono una serie di minacce tra telefonate e lettere anonime, negli ambienti della criminalità locale girava una frase: “Dio li ha creati e il demonio li ha accoppiati”.
Era chiaro che eravamo entrati in uno sporco affare che, a parer loro, non ci competeva e che quindi sarebbe stato opportuno non intrometterci ma la cosa non ci spaventò e proseguimmo nel nostro intento lavorando scrupolosamente.
L’epilogo drammatico avviene nell’aprile del 1981 quando alle minacce di morte seguì l’episodio più eclatante.
La notte del 21 aprile, intorno all’una, fummo svegliati da un terribile boato. Io, mia moglie e i miei 2 figli dormivamo e una forte esplosione mandò in frantumi tutti i vetri delle finestre e dei balconi della mia abitazione e del vicinato.
Fu messa una bomba davanti al portone di casa, un ordigno che a detta degli artificieri intervenuti, era stato creato per distruggere l’intera palazzina che per pure coincidenze non provocò vittime.
Solo dopo alcuni minuti presi coscienza di quello che era accaduto e mi sentii crollare il mondo addosso.
I miei sacrifici in un solo colpo erano andati in fumo e, oltre al danno la beffa.
Dopo quell’ episodio infatti fui costretto a chiedere un mutuo per ricostruire la mia casa e soprattutto a chiedere l’aiuto di mia madre, cose che non avrei mai pensato di fare nella mia vita.
Gli autori di quell’ attentato furono mai identificati?
Seppure c’erano degli indizi non fu mai accertato l’autore o gli autori di quel vile atto.
Questa storia racchiude in sé un significato importante utile a far comprendere e ad apprezzare chi, con il proprio lavoro a servizio della nostra sicurezza, mette a rischio la propria vita e a volte anche quella dei propri cari.