Il 4 novembre, ricorre la tradizionale cerimonia della Festa dell’Unità d’Italia.
Questa mattina il Sindaco di Andria, avv. Giovanna Bruno, ed il Prefetto della Bat, dott. Maurizio Valiante, deporranno una corona di allora in ricordo dei caduti di tutte le guerre sul sacello del Monumento ai Caduti.
Alla cerimonia interverranno un solo rappresentante per le associazioni combattentistiche e d’Arma presenti in città ed i responsabili delle Forze dell’Ordine.
Questo il pensiero del Sindaco sulla ricorrenza:
“800 nomi, 800 stelle / Andria fedele accese nel firmamento della Patria: è sintetico, perentorio, definitivo, il tributo letterario posto sul monumento ai Caduti, l’opera architettonica che suggella la celebrazione del sacrificio dei nostri concittadini, elevati dalla Storia al rango di eroi lontani dalla memoria recente. Quegli uomini e quelle donne pagarono con la vita la risposta alla retorica della Grande guerra, la I Guerra mondiale che Benedetto XV definì “inutile strage, suicidio dell’Europa civile”. Immaginate quegli uomini e quelle donne, richiamati indietro ai tempi odierni. A vivere un’altra guerra, più aspra e subdola del conflitto di trincea in cui si consumarono i destini dei nostri bisnonni al fronte. La guerra che stiamo combattendo contro un nemico invisibile chiamato COVID 19. In questo numero, nel destino numerico dello scorso secolo, sembrerebbe albergare una beffa: quella del ricorso ad una storia che si ripete anche oggi, mentre celebriamo la giornata che, assieme alle nostre Forse armate, celebra anche la nostra unità nazionale. Una scelta non casuale, quelle di aver sovrapposto le due ricorrenze, che richiama al sacrificio del fronte dei nostri soldati per la pace e per la difesa dei nostri confini dall’aggressione del nemico, ma che nasconde anche un auspicio di cui più volte si è fatto interprete il nostro presidente Sergio Mattarella: che la guerra resti solo un brutto ricordo, e che le nostre forze armate siano sempre più una forza di Pace, da dispiegare nelle mille emergenze della nostra contemporaneità. Lo stesso pontefice dell’epoca, ammoniva i suoi contemporanei, ma il suo avvertimento andò oltre la barriera degli anni: «Se quasi dovunque la guerra, in qualche modo ebbe fine e furono firmati alcuni patti di pace, restano tuttavia i germi di antichi rancori».
Ed è questo il vero tema: la pacificazione sociale. Una società non pacificata, in cui circoli il virus del sospetto e della disfatta, che non riconosca il valore della diversità e non lo accetti come surplus utile, è una società destinata al fallimento, alla bancarotta morale. Non ci saranno vaccini contro questo atteggiamento e non saranno poche le istituzioni che cadranno in pezzi, dilaniate dal peso dell’individualismo, accentuato da quella scienza che non si pone più al servizio dell’uomo, ma a quello delle logiche di profitto spinte dall’aberrazione di un concetto che non guarda l’essere umano e la sua biosfera come destinatario delle maggiori cure, ma rimanda tutto alla cifra di quanti soldi possono essere contenuti in un conto corrente.
Oggi ci apprestiamo a festeggiare l’Unità nazionale non come la festa che cade in un giorno in cui l’arroganza asburgica si piegò davanti al sacrificio di un popolo. Per strada, al lavoro o in famiglia, oggi, ritroviamo la necessità di riconoscerci uniti, per fronteggiare l’emergenza che sta mettendo alla prova il nostro Paese, un nome che abbiamo il dovere di scrivere con la lettera maiuscola. Perché siamo in un grande Paese, e viviamo e operiamo in una grande Comunità, fatta di gente autentica che vuole solo rialzare la testa e lavorare”.