A Corato è successo qualcosa che non si vede tutti i giorni. Un muro è stato abbattuto. Un muro vero, alto oltre due metri e lungo sei, costruito con cura nei giorni precedenti da mani piccole e grandi. Più di 200 scatole dipinte, assemblate, impilate come mattoni. Un muro fatto di parole, disegni, pensieri. Un muro costruito per essere distrutto.
Domenica sera, mentre il sole calava, la banda ha iniziato a suonare e i passi si sono fatti ritmo. In Piazza Cesare Battisti è cominciata la festa più importante: quella della pace. In pochi minuti, quel muro è crollato sotto le mani dei bambini, tra grida, risate, musica e applausi.
Le immagini di quella scena hanno evocato un’altra caduta, quella del Muro di Berlino. Ma questa volta il gesto ha parlato con il linguaggio dell’infanzia. Un linguaggio disarmante, semplice e potentissimo. Un linguaggio che oggi ci interroga profondamente.
“Break down the wall” non è stato solo un gioco, ma una dichiarazione collettiva: un atto poetico e politico, che ci ricorda quanto sia urgente, oggi più che mai, educare allo smantellamento dei muri. Muri visibili e invisibili. Muri geografici, culturali, linguistici. Muri mentali. Muri che dividono i popoli, che rendono le città meno accoglienti, che allontanano l’altro e irrigidiscono il pensiero.
In un tempo attraversato da guerre e conflitti, in un mondo dove i muri si alzano ogni giorno, Corato ha scelto di far cadere il suo. Un muro simbolico, certo. Ma i simboli sono cose vere, soprattutto quando vengono vissuti e condivisi da una comunità intera.
Grazie a tutte e tutti: agli artisti, ai volontari, all’amministrazione, alle famiglie, ai bambini, ai sognatori.
Abbattere i muri non è solo possibile: è necessario.
E Corato, ancora una volta, ha dimostrato di voler essere città bambina.
Una città che cresce con il coraggio di chi guarda oltre.
Adesso Il Tempo dei Piccoli prosegue il suo viaggio e prosegue verso Andria, senza confini.