A cura di Gaetano Bucci
È difficile, anzi è proprio impossibile non parlare quando anche le ultime speranze di vedere rinascere la nostra città si stanno dileguando. Ogni volta che dal Palazzo di città viene annunciato un provvedimento importante, un evento memorabile o un programma di manifestazioni ci si aspetta di ritrovarsi di fronte al “cambiamento”. La parola d’ordine e la promessa politica di questa amministrazione è stata proprio “cambiamento”. Il termine definisce “discontinuità e novità” allo stesso tempo. Discontinuità e novità nei metodi e ancor più nei contenuti. Nella ciclicità e nella stagionalità della vita collettiva ogni città cerca di rappresentarsi con una propria identità. La comunità si riconosce nella ricorrenza di feste civili e religiose, di appuntamenti economici e sociali annuali di rilievo, oppure di eventi che si snodano lungo una intera stagione.
Da anni la stagione estiva, che naturalmente si vive all’aria aperta soprattutto nelle ore serali, è diventata il banco di prova di ciò che una comunità riesce a fare e di come è capace di rappresentarsi per se stessa e per gli altri. Soprattutto le località turistiche e le città del Sud che hanno nel passato conosciuto forti emigrazioni approfittano dell’estate per rigenerarsi sia sul piano sociale che su quello economico e turistico. Per questi motivi l’estate al Sud conta più di ogni altra stagione dell’anno. E questo vale, ovviamente, anche per Corato. Basti solo dire che la festa grande di San Cataldo fu deliberatamente spostata in agosto, da maggio che si doveva tenere, proprio perché la grande famiglia coratina potesse almeno una volta l’anno riunirsi. Era l’abbraccio di Corato a se stessa nel nome del santo e nel divertimento della festa; dalle processioni ai fuochi d’artificio, dalle luminarie alla musica, dalle giostre ai cibi della tradizione.
L’estate una volta si “consumava” nella preparazione e nell’attesa della festa di san Cataldo. Ad un certo punto, da un paio di decenni circa, prese piede “L’Estate coratina”. Un po’ in ritardo a dire il vero su altre città del Sud e del territorio che già usavano “spalmare” lungo tutto il periodo estivo molti eventi di tipo religioso, turistico o di spettacolo. Soprattutto le città di mare facevano di tutto per riempire l’estate di eventi che potessero portare ricchezza e notorietà. Tra queste la vicina Trani si distingueva tra le altre città del nord-barese.
Un po’ per volta però anche la nostra “Estate coratina” aveva assunto una certa importanza, seppure priva di un festival o di una grande evento di rilevanza nazionale. A dire il vero, le manifestazioni dell’“Estate coratina” nel tempo erano diventate uno strumento di gestione clientelare del potere politico in virtù di quelle somme e dei patrocinî che l’Amministrazione di turno distribuiva più per simpatie che per meriti reali. Certo la cosa era tanto antipatica quanto mascherata. Di fatto però col tempo l’“Estate coratina” ha perso di attrattiva e il suo cartellone è diventato, non tutto ma per la gran parte, una lunga sequela di incontri vagamente culturali o spettacolari a cui assistono meno persone di quante mediamente partecipano alle feste private presso le infinite residenze di campagna dei coratini.
Quest’anno, e torniamo all’inizio, ci si aspettava il cambiamento. E sì, il cambiamento l’altro giorno è stato annunciato dal sindaco Corrado De Benedittis e dall’assessore alle nientemeno “politiche culturali” Beniamino Marcone nel corso di una conferenza stampa quasi deserta. Ma quale cambiamento è stato annunciato? Quello del nome, per il resto niente. Idem con patate. Questa volta la montagna non è riuscita a partorire neanche il topolino. È ormai assente, nessuno lo cerca nessuno lo evoca. Forse avrebbe addirittura fatto meglio.
Da quest’anno l’“Estate coratina” si chiama “Sei la mia città” con sottotitolo “Il raccolto dell’estate 2021”. Il programma è ricco di decine di incontri, la maggior parte letterari, di scarso o nessun interesse. Si salvano, ma son pure tanti, quelli organizzati da una nota libreria di Corato. Addirittura si sono inseriti una decina di incontri letterari “al buio”, ovvero senza sapere né autori né opere, di una associazione che in realtà è una piccola impresa editoriale. Per non parlare delle manifestazioni piuttosto ridondanti di altre associazioni che contano forse una dozzina di soci, o della Pro Loco che, dopo aver trasferito il Pendìo in largo Abbazia, lo ritrasferisce in via san Benedetto (chissà forse in omaggio ai nuovi padroni della città), abbandonando così definitivamente l’originaria collocazione della caratteristica stradina in pendenza che aveva suggerito il nome al suo fondatore, il compianto prof. Cataldo Leone. Per non parlare degli incontri organizzati sempre dalla stessa associazione, che dovrebbe avere ben altra attenzione verso tutti i cittadini, presso diverse ex-masserie diventate ottimi ristoranti a cui si partecipa in più delle volte a pagamento. Brisighella sotto le stelle è diventata Murgia sotto le stelle. Come cambiano i tempi!
Avremmo certo sperato nel cambiamento. Anzi, ne eravamo quasi certi che sul piano culturale Corato avrebbe potuto fare un grande salto di qualità come, per esempio, ha saputo fare Ruvo di Puglia sotto la guida del sindaco Pasquale Chieco e dell’assessore Monica Filograno, che hanno praticamente messo a punto il cosiddetto “metodo Ruvo”, un metodo in cui è stata coniugata la qualità con la partecipazione, la ricchezza della tradizione con la creatività della innovazione, la dimensione economica con quella sociale, la rigenerazione urbana con la rivalutazione storico-ambientale.
Della programmazione della “Città siamo noi” vanno comunque salvate promettenti ed egregie iniziative, come quelle messe a punto dall’Istituto Regina Elena, la rievocazione storica di chiusura a cura della Associazione Agorà 2.0 e qualche altra piccola “chicca” che, temiamo, si perderà in tanta “ordinarietà”.
Ovviamente, il discorso sulla cultura a Corato non finisce qui. Anzi, andrebbe aperto a tutto campo, anche per vederci chiaro in ciò che c’è dietro una serie di manifestazioni a titolo oneroso per le quali non si sa quale sia il “ritorno per la città”. Non si è ancora capito come mai tanti “finti coratini”, foraggiati dal clientelismo regionale e favoriti da certi santi in paradiso barese, si ricordano della nostra città solo per “fare cassetta”. Non si è capito, viceversa, perché tanti nostri concittadini, simpatici e non, che si stanno affermando a livello nazionale nel cinema, nel teatro, nella letteratura, nella musica e in tante altre arti vengono puntualmente tagliati fuori, oppure semplicemente “accontentati” con qualche targhetta ricordo e qualche artistica pergamena.
Non si è ancora capito perché a Corato il “cambiamento” tanto decantato non abbia prodotto un minimo di partecipazione democratica e di coinvolgimento attraverso una Consulta cittadina o un piccolo Comitato di esperti. Non si è ancora capito che cosa pensino su questa questione del rilancio culturale i tanti professori e professionisti che siedono oggi, a differenza del passato, in Consiglio comunale. Non si è ancora capito se a Corato ci sia almeno l’intenzione di lavorare per un “veramente grande evento” di richiamo nazionale e internazionale a cui legare una serie di iniziative, culturali e non, come hanno saputo fare nelle città viciniori di Trani, Andria, Bisceglie, Ruvo e Molfetta.
In conclusione, crediamo ci sia tanto da fare. Ancora si deve cominciare. Nel frattempo la città aspetta. Aspettano i cittadini ed aspettano anche coloro che, avendo risorse, potrebbero contribuire a far grande la nostra città. Forse bisogna trovare le persone e le parole giuste. Forse Corrado De Benedittis deve pensarci meglio… possibilmente non alle due di notte quando vede solo “piovre” e quadri di Andy Warhol.