Il racconto di un trentaseienne andriese, angelo in prima linea
Sono stati definiti meritoriamente “eroi”. Camici bianchi, medici, operatori sanitari e infermieri che assieme a molti altri, continuano a prestare il loro servizio a stretto contatto con il pubblico, nel clou di questa emergenza globale.
Un inevitabile turbinio di emozioni tra slancio solidale e paure, dietro il ligio senso del dovere, ciascuno di essi cela una parte più intima fatta di forti sensazioni, su cui pochi forse si sono soffermati. Si tratta di uomini e donne chiamati ad esercitare la propria professione trasformata nell’ultimo periodo in una vera e propria missione.
M.M., è un infermiere del 118 di Andria. Ha 36 anni e lavora su tre turni giornalieri, un giovane padre come tanti, che ogni giorno lavora in prima linea mettendo a repentaglio la propria incolumità e quella della sua famiglia per aiutare i suoi concittadini.
La sua testimonianza rimbomba come una eco nel silenzio assordante di questi giorni, in una città paralizzata in attesa di ripartire. Nell’intervista rilasciata a “Il Quarto Potere” ha espresso l’intenzione di rimanere in anonimato in quanto, “non serve essere protagonisti in questo momento drammatico, in cui tutti siamo chiamati ad agire al meglio con gli strumenti che abbiamo ossia la conoscenza e le abilità”.
– Raccontaci come inizia la tua giornata di lavoro in questo periodo…
“La mia giornata inizia con il viaggio verso il posto di lavoro, percorrendo strade che non sono più trafficate e mi porta a riflettere sul valore della mia missione, con la speranza che il Signore mi possa sempre dare la lucidità e la consapevolezza per prendere le giuste decisioni cliniche nel corso delle ore di lavoro. Arrivo sul posto di lavoro e parte la prima attesa della giornata dietro la fila davanti all’ingresso dell’ospedale per la misurazione della temperatura (con la speranza di non avere la febbre); contestualmente firmo una dichiarazione in cui attesto di non aver contratto il virus (per quanto a mia conoscenza) e successivamente indosso la divisa, la stessa con la quale – in periodi precedenti – ho visto nascere nuove vite ed ho prestato assistenza nel corso di eventi di emergenza sulla vita, quali traumi, malori, ecc…e da ultimo aspetto la chiamata – che potrebbe arrivare in qualunque momento – dalla Centrale Operativa di Bari, che in quest’ultimo periodo si ritrova a gestire un numero esorbitante di chiamate provenienti dalla nostra provincia e non solo. Arriva la chiamata, la conoscenza del “caso” diventa fondamentale e, attraverso le domande fatte dalla Centrale Operativa alla persona che è all’altro capo del telefono, si può da subito comprendere se si è di fronte ad un caso sospetto “COVID”. Inizia così la vestizione: indossi tutti i DPI (tuta, maschera, copri scarpe, guanti e visiera) e ti rechi al domicilio del paziente. Una volta arrivato, posso notare su di me gli sguardi strani dei parenti e della persona da soccorrere e così inizio a conoscere il caso clinico, e noto immediatamente uno sbandamento dei pazienti dovuto alla paura e alla carenza assistenziale, dal momento che mi richiedono il tampone come strumento fondamentale per abbattere le paure. In questi casi, davvero frequenti, gli devo spiegare però che il Servizio prestato dal 118 non può eseguire i tamponi e che ci sono percorsi assistenziali dettati dalle Asl per richiederlo, dove il fulcro è il medico che deve valutare i segni e sintomi. Alla fine vai via con la speranza di aver, seppur in minima parte, dato una mano”.
– Cosa è cambiato, per voi, da qualche settimana a questa parte. Quali sono le nuove procedure da rispettare?
“La Asl BT, come il nostro Sistema Sanitario Regionale, ha messo in pratica protocolli e disposizioni che ogni giorno vengono adottate per l’emergenza e che cercano di dare risposte assistenziali concrete al fine di arginare il più possibile questo nemico silenzioso e sconosciuto”.
– Qual è il tuo primo pensiero appena varchi la soglia di casa di un potenziale Covid19?
“Quello di salvarlo da un ipotetico arresto respiratorio, ma anche da un trauma psichico oltre che fisico, in quanto il virus resta come un marchio indelebile laddove il paziente è positivo ma nel complesso sta bene, dal momento che probabilmente verrà considerato “untore” da parte della comunità e questo potrebbe portare alla sua emarginazione comportando ulteriori e più gravi conseguenze”.
– Secondo te, i presidi sanitari che adottate sono sufficienti per evitare il contagio?
“Sì per il momento, ma se arriva l’emergenza come quella che si sta avendo nelle regioni del Nord quali Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, i nostri presidi risulteranno carenti e non potremo più esercitare la nostra professione in sicurezza”.
– Quali difficoltà state riscontrando nella gestione di questa emergenza?
“L’ imprevedibilità del virus, il contagio diretto ed indiretto e, soprattutto, le paure e le ansie da parte dei cittadini e degli operatori”.
– Consigli pratici per chi è obbligato ad uscire per motivi di lavoro, salute e necessità. Come bisogna comportarsi?
“Seguire le Regole dettate dal Ministero della Salute e dalle ASL territoriali, e seguire le regole d’igiene primarie ma fondamentali”.
– La maggior parte degli andriesi ha recepito il messaggio: RESTARE A CASA. Cosa senti di dire a coloro che, invece, circolano ancora in città senza un valido motivo?
“Che se potessi resterei volentieri a casa, dove mi sentirei più sicuro ma devo continuare a fare il mio lavoro che mi mette, quotidianamente, di fronte ad un nemico sconosciuto soprattutto nel suo evolversi. L’evoluzione de virus, infatti, è dovuta in particolare a tutti quelli che continuano a fare in modo che circoli indisturbato, dal momento che siamo noi i primi vettori del Covid19. Per cui prego tutti di restare a casa e seguire le indicazioni che ci vengono date, se tutti rispettiamo le regole ne verremo fuori prima e con il minor danno possibile per ognuno di noi”.
– Sei padre di un bambino. Quali misure precauzionali utilizzi per proteggere la tua famiglia e cosa pensi ogni volta che torni a casa?
“Non ti nascondo che quando vado via abbraccio e saluto mio figlio come se fosse quasi un ultimo abbraccio poiché se, malauguratamente, dovessi contrarre il virus, mi metterei immediatamente in quarantena. Ad oggi, prima di varcare la soglia di casa, lascio indumenti e scarpe fuori dalla porta e vado dritto in bagno a lavarmi le mani e fare la doccia; questo tutte le volte che torno dal turno di lavoro ed indipendentemente dal fatto che abbia avuto o meno contatti con un paziente sospetto”.
– Domanda da un milione di dollari: quanto durerà ancora?
“Onestamente non saprei e non posso darti una risposta precisa ma mi sento solo di dire di ascoltare solo quello che ci dicono medici, virologi o comunque gli esperti altrimenti si rischia di creare un clima di maggiore preoccupazione che non solo sarebbe dannoso ma anche ingiustificato”.
– Un appello ai tuoi concittadini per affrontare al meglio questa “guerra”…
“Continuare a rispettate le regole dettate dalla ASL, dai Sindaci e dagli Organi Ufficiali, perché sono loro che si stanno impegnando quotidianamente a tutelare la nostra salute, quale diritto fondamentale di ciascuno di noi. Io, che con il mio lavoro sono in prima linea, lo vedo con i miei occhi e mi rendo conto che non è facile prendere decisioni che vanno a limitare la libertà personale ma, nello stesso tempo, fungono da barriera protettiva davanti al diffondersi del virus”.
Gentile Direttore Varesano,
che dire sono basito e alquanto sconcertato.
In data odierna 01 04 2020 alle ore 8.15 arrivando nella Città di Corato dalla vicina Trani, pensavo che alcuni cittadini della Città Corato fossero complici e coesi nel fare uno scherzo comune. Scandaloso, le vie in prossimità al centro storico erano piene di persone inosservanti delle comunicazioni decretate dai nostri legislatori. Capisco tutto; ho potuto prendere atto che la stragrande maggiornanza dei cittadini ha osservato diligentemente il decreto,. Come è talvolta consuetudine, ci sono i furbetti di quartiere inosservanti delle regole e palesemente non propensi al rispetto delle stesse. Le forze di polizia tutte, hanno certamente avuto il loro da fare in questo periodo e non è possibile che pochi sciagurati , comunque e sempre sciagurati, in momenti particolari e di pericolo debbano sbattersene delle regole. Il commissario prefettizio dov’è? La polizia locale dov’è? I carabinieri dove sono? Ma visto un posto di blocco. Forse uno. Ci sarà sempre ed il solito divario e senza dover percorrere centinaia di km basta osservare il comune limitrofo che attentamente e seriamente sta affrontando l’emergenza.
Entrare in Corato per esigenze di lavoro e osservarne le differenze ti da un senso di rabbia!