Giuseppe Carlucci, Autore presso Il Quarto Potere https://ilquartopotere.it/author/giuseppe-carlucci/ Le notizie sotto un'altra luce Sun, 29 Sep 2024 17:16:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.8.2 https://ilquartopotere.it/wp-content/uploads/2018/12/cropped-icona_512-32x32.png Giuseppe Carlucci, Autore presso Il Quarto Potere https://ilquartopotere.it/author/giuseppe-carlucci/ 32 32 La Transumanza tra tradizioni, miti e leggende https://ilquartopotere.it/tradizioni/la-transumanza-tra-tradizioni-miti-e-leggende/ https://ilquartopotere.it/tradizioni/la-transumanza-tra-tradizioni-miti-e-leggende/#respond Sun, 29 Sep 2024 17:15:25 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=33814 Oggi è stata la festa di San Michele Arcangelo, ma questa data un tempo era fonte di grande tristezza e dolore perchè coincideva con la partenza dagli Abruzzi di migliaia di uomini che iniziavano il cammino della Transumanza. Il tratturo Magno lungo 244 chilometri veniva percorso in una settima circa per giungere alle locazioni della […]

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Oggi è stata la festa di San Michele Arcangelo, ma questa data un tempo era fonte di grande tristezza e dolore perchè coincideva con la partenza dagli Abruzzi di migliaia di uomini che iniziavano il cammino della Transumanza.

Il tratturo Magno lungo 244 chilometri veniva percorso in una settima circa per giungere alle locazioni della Puglia. Quegli uomini lasciavano le loro mogli ed i loro figli per 7 mesi sino all’otto maggio quando riprendevano il cammino per tornare sulle montagne abruzzesi.

Ma non vi voglio parlare dei pastori ma di altre figure che seguivano senza mai mostrarsi la lunga carovana di pecore e uomini vi voglio parlare dei SURVEGLIAND o Cavallari, uomini tra mito e leggenda.

Probabilmente tutti voi conoscete il termine “transumanza”. Transumanza, vuol dire pastorizia trasmigrante. La parola è composta da trans (di là da) e da humus (terra), come dire greggi che migrano “di là dalla terra (consueta)”.

Tale usanza di spostare greggi di migliaia e migliaia di pecore da un luogo ad un’altro per limitare il disagio delle avverse condizioni climatiche risale alla notte dei tempi. Tali “migrazioni” interessavano tutte le regioni dell’Italia centro meridionale, ed utilizzavano delle vere e proprie autostrade delle pecore, larghe ben sessanta palmi napoletani pari a 111 metri, chiamate “tratturi”.

Il più importante movimento di greggi era quello che avveniva tra gli Abruzzi e le Puglie, e che all’inizio dell’autunno portava milioni di pecore dalle montagne abruzzesi al tavoliere delle Puglie e sulla Murgia.

Dopo aver “svernato” da noi, agli inizi della primavera le greggi ripartivano per ritornare sulle montagne abruzzesi che assicuravano pascoli abbondanti. Ma se molto si sa della transumanza e dei tratturi, poco o nulla si conosce degli uomini che accompagnavano le greggi e che dovevano far fronte oltre alle avverse condizioni climatiche anche ai branchi di lupi che seguivano le greggi nella loro “migrazione” ed ai numerosi briganti pronti a rubare pecore ed agnelli.

I pastori non potendo usufruire di ripari in muratura per la custodia delle pecore, costruivano delle enormi recinzioni con gli spinosi cespugli di pero selvatico, erano delle vere e proprie barriere di spine alte sino a tre metri e quasi impossibili da superare, oltre alla recinzione a proteggere le greggi vi erano feroci cani acerrimi nemici dei lupi.

I pastori giunti nel territorio di svernamento, dormivano nelle “casiedd” dei trulli di pietra con una piccola apertura centrale che consentiva la fuoriuscita del fumo, infatti all’interno degli stessi venivano accesi dei piccoli fuochi per riscaldarsi e produrre ricotta e formaggi. Si nutrivano di ciò che la natura offriva loro oltre a scambiare i prodotti della loro attività, con vino, pane, olio, fichi e frutta secca.

In pochi forse sanno che gli era vietato uccidere e mangiare le pecore, infatti gli armenti non erano di loro proprietà ma dei “nobili possidenti abruzzesi” e guai a toccare un agnello o una pecora, la loro carne erano i funghi di ferula, un tempo numerosissimi e chiamati proprio “la carne dei pastori”.

Oltre ai pastori ( di solito venivano impiegati sette pastori ogni mille pecore) vi erano i “past’ricchi” dei ragazzi che avevano il compito di fiancheggiare le greggi per evitare che qualche pecora si smarrisse ed “U massor” che era a capo di tutti, decidendo su percorso e soste. Ma altri uomini seguivano e vegliavano sulle greggi e sull’operato dei pastori. Erano i cosiddetti “surv’gliand”, uomini tra mito e leggenda di cui si è ormai perso il ricordo e dei quali vi voglio parlare; erano al servizio dei nobili proprietari delle greggi ed avevano il compito di sorvegliare pastori e pecore, gli uni perché non venissero meno ai loro compiti e le altre affinché non diventassero facili prede di briganti e lupi. Seguivano le greggi in modo discreto cavalcando neri cavalli murgesi dalla lunga criniera, indossavano nere mantelle dall’ampio collo con una piccola catenella che le chiudeva sul davanti e tanto lunghe da ricoprire la sella, portavano lunghi stivali fin sopra al ginocchio e cappelli a falda larga per ripararsi dalla pioggia, spesso il viso era nascosto da folte barbe e baffi. Sotto la mantella nascondevano “lo schioppo”, un fucile ad avancarica di corte dimensioni molto simile ad un archibugio che veniva caricato con piccoli pezzi di ferro, oltre allo schioppo sotto la mantella veniva portata la borsa della polvere da sparo che insieme alla borsa del tabacco era la cosa più preziosa che possedevano.

Nel loro “armamento” vi era anche un lungo coltello somigliante ad una corta sciabola; erano uomini che non conoscevano il termine paura, malvisti dai pastori e temuti dai contadini dei paesi che li consideravano alla stregua di veri e propri diavoli erano condannati alla solitudine, infatti di notte sorvegliavano le greggi e di giorno dormivano in grotte ed anfratti di cui solo loro conoscevano l’ubicazione lungo il percorso della transumanza. Si nutrivano di ciò che riuscivano a procurarsi cacciando con trappole l’abbondante selvaggina che gli immensi boschi di un tempo offrivano loro. Lo schioppo era usato solo contro i lupi ed i briganti.

I pastori mal li sopportavano, ma la notte quando udivano i lupi ululare sapevano che c’era qualcuno che stava vegliando per loro, qualcuno che non vedevano quasi mai ma che era lì da qualche parte su di un nero cavallo a far la guardia a uomini e pecore. Sino a qualche decennio fa i pastori raccontavano che se sulle murge ti accadeva di ritrovare un vecchio ferro di cavallo arrugginito ed eroso dal tempo, dovevi custodirlo gelosamente perché era il ferro di un “surv’gliand” un amuleto che ti avrebbe permesso sonni tranquilli perché avrebbe tenuto lontani gli spiriti malvagi.

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Il rondone, “l’insetticida naturale”, sempre più raro nelle nostre città https://ilquartopotere.it/ecologia/il-rondone-linsetticida-naturale-sempre-piu-raro-nelle-nostre-citta/ https://ilquartopotere.it/ecologia/il-rondone-linsetticida-naturale-sempre-piu-raro-nelle-nostre-citta/#respond Sat, 29 May 2021 06:13:39 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=11938 I rondoni soffrono molto i restauri delle abitazioni che prevedono la chiusura dei fori nei muri delle vecchie case che costituiscono i nidi per potersi riprodurre. Un tempo per le strade delle nostre città erano talmente tanti nelle tarde ore estive che il loro verso era udibile anche all’interno delle abitazioni, quando in stormi anche […]

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I rondoni soffrono molto i restauri delle abitazioni che prevedono la chiusura dei fori nei muri delle vecchie case che costituiscono i nidi per potersi riprodurre.

Un tempo per le strade delle nostre città erano talmente tanti nelle tarde ore estive che il loro verso era udibile anche all’interno delle abitazioni, quando in stormi anche molto numerosi saettavano tra i vicoli del centro storico per individuare i siti di nidificazione e cacciare mosche ed altri insetti.

Sto parlando del rondone, molto spesso confuso con le rondini, ma il rondone è ben diverso dalla rondine sia per la generale livrea sia per la sagoma in volo, infatti nella rondine si distingue l’addome bianco la gola rossiccia e la coda molto forcuta, il rondone invece appare tutto nero con la coda meno forcuta e con gola bianca. Le rondini sono abitanti tipiche della campagna e solo raramente si avvistano in paese.

Osservando il rondone da vicino si notano le ali molto più lunghe ed arcuate e la mancanza di riflessi bluastri sulla parte superiore. Il rondone è meno vincolato alla presenza di acqua di quanto non lo sia la rondine infatti non costruisce il nido utilizzando il fango ma utilizza delle crepe nei muri in pietra o dei sottotetti e molto spesso gli spazi, tra l’architrave degli ingressi in pietra e la muratura stessa, spazi lasciati appositamente aperti per evitare che eventuali assestamenti della muratura potessero gravare sull’architrave e romperla. Purtroppo nel corso degli ultimi decenni la ristrutturazione delle tantissime case in pietra e dei monumenti del centro storico ha portato ad una sensibile diminuzione dei luoghi utilizzati per la nidificazione e quando qualche (raro) amministratore ha sollevato il problema è stato pubblicamente deriso per l’immensa ignoranza che i più hanno sull’argomento. Infatti la presenza di questi straordinari uccelli, grandi mangiatori di insetti, limitava sensibilmente la presenza di “fastidiosi” insetti. Oggi si ricorre a trattamenti chimici per limitare la presenza di mosche e zanzare spargendo grandi quantità di insetticidi che appestano l’aria.  Sarebbero bastati dei semplicissimi accorgimenti nelle ristrutturazioni delle case in pietra ed il problema sarebbe stato risolto naturalmente e con risparmio di soldi pubblici.

In volo il rondone emette un verso acuto e stridente: “shuirr” che emesso da stormi numerosi è davvero caratteristico. Da noi al sud Italia lo si avvista prevalentemente nei centri storici di paesi e città dove ha ancora la possibilità di trovare siti idonei per la nidificazione. Il rondone è quasi sempre in volo cibandosi di insetti che cattura con la grande bocca. Una volta scelto il “buco” dove nidificare (molto spesso conteso con storni e passeri), il rondone inizia a portarci paglia penne ed altro materiale ma tutto raccolto in volo o strappato dai muri, infatti a differenza della rondine il rondone non si posa mai al suolo e se ciò dovesse disgraziatamente accadere non riuscirebbe più ad involarsi per le ali troppo lunghe e le zampe troppo corte. Tra maggio e giugno il rondone depone dalle 2 alle 4 uova che vengono incubate prevalentemente dalla femmina per circa tre settimane. I piccoli vengono alimentati con insetti che l’adulto raccoglie nella bocca per circa 6 settimane. Nei giorni antecedenti l’involo, il piccolo non viene più alimentato sia per fagli perdere peso e facilitargli il volo sia per spingerlo ad involarsi. Il rondone effettua una sola covata. Il rondone è un volatore instancabile e si riposa aggrappandosi con i forti artigli alle asperità dei muri o nei pressi del nido. Riesce a cacciare da enormi altezze a pochi centimetri dal suolo ed anche di notte. Mantiene il suo carattere fortemente sociale anche durante il periodo della nidificazione. Da noi è presente come estivo e nidificante, arriva dalla metà di aprile e lo lascia a fine agosto primi di settembre per tornare nei luoghi di svernamento in sud-Africa.

Oltre al rondone comune (apus apus) è presente nell’Italia meridionale ed in particolare in Puglia il rondone pallido (apus pallidus), molto più chiaro del rondone comune, con una generale colorazione grigiastra e con mento bianco più esteso. Da noi è accertata la nidificazione di questo “cugino” più raro del rondone comune. Il rondone pallido ha comportamento ed alimentazione simili a quelli del rondone comune ma è meno sociale di quest’ultimo. Nidifica con ritardo rispetto al rondone comune ed alcuni esemplari sono da noi presenti ancora a metà ottobre quando i rondoni comuni sono ormai andati tutti via.

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Barlia robertiana: la gigante tra le orchidee, dal profumo intenso, presente sulla Murgia https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/barlia-robertiana-la-gigante-tra-le-orchidee-dal-profumo-intenso-presente-sulla-murgia/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/barlia-robertiana-la-gigante-tra-le-orchidee-dal-profumo-intenso-presente-sulla-murgia/#respond Mon, 05 Apr 2021 05:19:28 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=11166 Barlia robertiana (Himantoglossum robertianum) Vi sarà capitato, girando per le Murge nei mesi di febbraio o marzo, in cerca di asparagi, di notare un fiore particolarmente bello e vistoso con delle foglie basali ellittiche di un bel verde chiaro, si tratta della Barlia o orchidea di robert o robertiana.   Sì, si tratta proprio di […]

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Barlia robertiana (Himantoglossum robertianum)

Vi sarà capitato, girando per le Murge nei mesi di febbraio o marzo, in cerca di asparagi, di notare un fiore particolarmente bello e vistoso con delle foglie basali ellittiche di un bel verde chiaro, si tratta della Barlia o orchidea di robert o robertiana.

 

Sì, si tratta proprio di una orchidea ed ha due caratteristiche che la rendono unica: è la prima orchidea a fiorire nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia ed è anche la più grande e vistosa tra tutte le orchidee che sono presenti nel Parco, tanto che alcuni esemplari raggiungono addirittura i cinquanta centimetri di altezza.La barlia oltre ad avere dimensioni assai diverse tra i vari esemplari, ha anche colori che possono andare da un bianco sporco sino all’amaranto passando per tutte le gradazioni di viola.

Oltre al colore che in alcuni esemplari è particolarmente intenso, la Barlia emana anche un intenso profumo che serve ad attirare gli insetti impollinatori. Come tutte le orchidee è protetta e se la doveste raccogliere oltre a commettere un reato fareste una cosa inutile perché dopo pochi minuti il fiore appassirebbe completamente.

Il suo nome deriva da due illustri botanici  Jean Baptiste Barla, un francese di Nizza micologo ma specializzato in orchidee, ed il farmacista e botanico francese Gaspard Nicolas Robert.

Da un punto di vista biologico la pianta viene definita una geofita bulbosa, cioè una pianta il cui organo è un bulbo da cui, ogni anno, nascono fiori e foglie. Si tratta di una specie spontanea, con areale di presenza limitato alle coste mediterranee, inoltre è protetta sia a livello nazionale che internazionale;  rientrando nell’Allegato I della Convenzione di Washington del 1973 (CITES) per le specie di flora selvatica minacciate di estinzione.

Nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia è  possibile trovarla un po’ dappertutto, dai prati aperti e soleggiati ai coltivi, ai boschi di roverella, ma è anche facile avvistarla ai bordi delle tante sterrate che corrono nel Parco. Purtroppo come per altre orchidee, i suoi bulbi vengono mangiati dai cinghiali e la massiccia presenza di questi ultimi nell’area del Parco non contribuisce di certo alla sua espansione.

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Lo storno, una delle presenze più comuni nei cieli dell’Alta Murgia https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/lo-storno-una-delle-presenze-piu-comuni-nei-cieli-dellalta-murgia/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/lo-storno-una-delle-presenze-piu-comuni-nei-cieli-dellalta-murgia/#respond Sat, 20 Feb 2021 07:29:09 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=10304 Vi è mai accaduto di vedere nel cielo delle nuvole nere che disegnano delle strane forme geometriche? No, non parlo delle nubi ma di nuvole di uccelli neri che volano all’unisono. Si tratta degli storni. Lo storno,  infatti, durante la stagione invernale, è una delle presenze più comuni nei cieli dell’Alta Murgia e non solo. […]

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Vi è mai accaduto di vedere nel cielo delle nuvole nere che disegnano delle strane forme geometriche?

No, non parlo delle nubi ma di nuvole di uccelli neri che volano all’unisono. Si tratta degli storni. Lo storno,  infatti, durante la stagione invernale, è una delle presenze più comuni nei cieli dell’Alta Murgia e non solo.

Anni fa a Napoli, in pieno centro, ho assistito ad uno spettacolo davvero singolare. Vi erano stormi di migliaia e migliaia di storni che al tramonto incuranti del traffico e dei passanti, si posavano sugli alberi del centro per passarvi la notte con buona pace dei proprietari delle auto parcheggiate sotto gli stessi e che al mattino seguente le avrebbero trovate completamente ricoperte di guano.

Sino a circa trenta anni fa, la presenza dello storno era da noi nel sud Italia, limitata alla sola stagione invernale e la sua presenza era in gran parte confinata alla campagna aperta ed alle periferie urbane. Molto raramente lo si avvistava negli abitati. Oggi invece, lo storno sembra essere diventato più comune degli stessi passeri, lo si avvista durante tutto l’anno ed in autunno ed inverno è solito trascorrere la notte sugli alberi dei parchi delle grandi città in stormi numerosissimi.

Anche a Ruvo di Puglia, dove il suo nome dialettale è semplicemente: “stùrn“, vi era una piccola colonia che si era insediata insieme alle taccole, sul campanile della Cattedrale prima che lo stesso fosse ristrutturato.

Lo storno è facilmente riconoscibile per la generale livrea scura macchiettata ed iridescente comune ai due sessi, mentre i giovani hanno una livrea di color bruno grigio. Una caratteristica dello storno è il colore del becco che in entrambi i sessi in estate è di un giallo brillante mentre in inverno diventa nero. Il richiamo è un prolungato “tsiii”, a volte emette fischi imitativi dei versi di altri uccelli. Ha un habitat estremamente vario che spazia dai campi coltivati ai vigneti ai boschi agli uliveti ed ai centri abitati. Ha volo rapido e dritto, sul terreno si muove rapidamente e si nutre saggiando la terra con il becco. E’ solito trascorrere la notte in canneti presso delle paludi o sugli alberi dei grandi parchi cittadini spesso in stormi numerosissimi come gia accennato, ed è un vero spettacolo assistere alle evoluzioni che migliaia di individui compiono in volo concorde prima di “atterrare”.

Lo storno ha una dieta prevalentemente animale, insetti, ragni, miriapodi costituiscono la sua dieta abituale, anche se da noi in Puglia ed in autunno in particolare, è un visitatore giornaliero degli uliveti.

La riproduzione avviene in forma isolata o in piccole colonie sui tetti degli edifici (dove vi sono tetti con tegole), o in cavità di alberi o di muri utilizzando anche i nidi di altri uccelli. Il nido è costruito da entrambi i sessi in modo abbastanza sommario, e viene tappezzato dalla femmina con foglie muschio lana ecc. Le uova, di solito cinque o sei, sono bluastre, poco lucenti e vengono deposte da metà aprile in poi. Sono incubate da entrambi i sessi per circa due settimane. I giovani sono alimentati prevalentemente dalla femmina  e restano nel nido per venti giorni circa. Di solito lo storno effettua una sola covata ma in condizioni favorevoli anche due.

In Italia era considerato stazionario nelle sole province settentrionali, ma ormai anche da noi al sud è presente durante tutto l’arco dell’anno anche se la sua presenza nel meridione aumenta considerevolmente durante la stagione invernale quando dai Paesi dell’Europa nord e centro orientali giungono in Italia le popolazioni che attraversando il Paese da nord a sud si recano a svernare nell’Africa nord occidentale. E’ una delle poche specie di uccelli che, contrariamente a altre, sembra in espansione.

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Il pettirosso, secondo una leggenda un uccello quasi sacro https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/il-pettirosso-secondo-una-leggenda-un-uccelli-quasi-sacro/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/il-pettirosso-secondo-una-leggenda-un-uccelli-quasi-sacro/#respond Fri, 12 Feb 2021 07:31:10 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=10190 Il pettirosso è indubbiamente il più comune tra tutti i “piccoli” turdidi presenti in Italia, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia lo si avvista soprattutto durante il periodo invernale, quando dal nord Europa molti esemplari giungono da noi per svernare. Il suo nome in dialetto ruvese è pitt’russ ossia proprio petto rosso, ed in effetti la […]

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Il pettirosso è indubbiamente il più comune tra tutti i “piccoli” turdidi presenti in Italia, nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia lo si avvista soprattutto durante il periodo invernale, quando dal nord Europa molti esemplari giungono da noi per svernare. Il suo nome in dialetto ruvese è pitt’russ ossia proprio petto rosso, ed in effetti la caratteristica che rende inconfondibile questo piccolo turdide è il color ruggine-arancio che gli adulti della specie presentano su faccia e petto, mentre gli esemplari giovani sono superiormente bruni maculati di fulvo ed inferiormente fulvi barrati e maculati sempre di bruno.

Una leggenda popolare fa del pettirosso un uccello quasi sacro; si narra infatti che il colore del petto e della faccia sia scaturito dal sangue di Cristo avendo questo piccolo uccello tolto una delle spine della corona che affliggeva il Signore sulla croce.

Oltre alla forma tipica, (E. Rubecula), in Italia è presente il pettirosso sardo (E. Sardus Kleinschm), con parti superiori più bruno oliva e fianchi più scuri. La nota di richiamo del pettirosso è “tic-tic-tic” o “tsit-tsip-ip”, mentre il canto è melodioso e vario, diversamente da altre specie anche la femmina del pettirosso canta.

L’ambiente del pettirosso è molto vario e va dai boschi con sottobosco alla campagna cespugliata ai pareti con macchie di rovi per finire con parchi e giardini cittadini specie durante il periodo invernale.

Il pettirosso si ciba soprattutto di insetti e loro larve, frutti selvatici e piccoli semi. Si riproduce in foreste e grandi boschi senza disdegnare i parchi cittadini. Il nido è costruito dalla femmina nel sottobosco in cavità di alberi o di muri, è molto ben nascosto e piuttosto voluminoso, è costruito principalmente con foglie  e muschio e tappezzato di crini e penne. Le uova (da 4 a 9), sono di color crema macchiate di rossiccio, vengono deposte da Aprile in poi e covate dalla sola femmina per circa due settimane. I pulcini, alimentati da entrambi i genitori, rimangono nel nido per circa 15 giorni. Effettua generalmente due covate.

Il pettirosso ha un comportamento molto tipico, sul terreno saltella e se allarmato innalza ed abbassa la testa agitando ali e coda, ha un volo basso a coda alzata, nel folto si posa dappertutto spesso anche in posizioni esposte su muri e tetti. È estremamente combattivo nei confronti dei suoi simili, infatti una volta scelto un determinato territorio lo rende noto ai suoi simili cantando e mettendosi in mostra per indicarlo ma se un altro pettirosso “sconfina” lo difende strenuamente, e cosa molto singolare, anche la femmina si comporta nello stesso modo. Le coppie però dopo essersi formate alla fine di dicembre condividono il territorio prescelto. Talvolta è molto confidante nei confronti dell’uomo, ma generalmente ha un’indole schiva specialmente durante il periodo della muta alla fine dell’estate.

La forma tipica abita tutta l’Europa occidentale, dalla Norvegia alla Sicilia e ad oriente sino alla Russia meridionale. Le popolazioni settentrionali in inverno si spostano a sud per svernare nel bacino del mediterraneo, nell’Italia centro settentrionale può essere considerato stazionario mentre da noi in Puglia, è presente come nidificante soprattutto sul Gargano nella Foresta Umbra e sui Monti Dauni. Nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia sono presenti alcune coppie nidificanti nella Foresta Mercadante e nel bosco della Scoparella in territorio di Ruvo di Puglia, ma certamente una più attenta analisi rivelerebbe altre coppie nidificanti sulla fascia boschiva posta al nord del Parco.

Da ultimo vi voglio raccontare un episodio davvero singolare a cui ho assistito anni fa a Barletta. Un mio amico fotografo era solito portare sempre con sé dei bigattini per attirare dei piccoli passeriformi e fotografarli. Un pettirosso si era talmente abituato alla sua presenza sapendo della “ricompensa” che avrebbe ricevuto, da giungere a mangiare i bigattini direttamente dalla scatola entrando nell’auto del mio amico dal finestrino ed appollaiandosi tranquillamente sulla sua mano. Una cosa incredibile!

 

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Euforbia sulla nostra Murgia: una pianta dalle proprietà magiche https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/euforbia-sulla-nostra-murgia-una-pianta-dalle-proprieta-magiche/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/euforbia-sulla-nostra-murgia-una-pianta-dalle-proprieta-magiche/#respond Sun, 31 Jan 2021 08:03:37 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=9995 Euforbia pugliese (Euphorbia nicaeensis sub. Japygica) Una pianta tipica, molto presente sull’altopiano delle Murge è l’Euforbia di Nizza. L’euforbia è una pianta appartenente alla famiglia delle Euphorbiacea e tra le tante, l’Euforbia di Nizza è distribuita in tutto il bacino del mediterraneo, in particolare da noi in Puglia e sulle Murge vi sono ben diciannove […]

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Euforbia pugliese (Euphorbia nicaeensis sub. Japygica)

Una pianta tipica, molto presente sull’altopiano delle Murge è l’Euforbia di Nizza.

L’euforbia è una pianta appartenente alla famiglia delle Euphorbiacea e tra le tante, l’Euforbia di Nizza è distribuita in tutto il bacino del mediterraneo, in particolare da noi in Puglia e sulle Murge vi sono ben diciannove sottospecie diverse di euforbia, tra queste è presente la sottospecie japygica, nome con il quale era indicata la regione della Magna Grecia oggi conosciuta come Puglia.

La pianta prende il nome da Euforbo, medico del Re Giuba II di Mauritania, che secondo Plinio fu il primo a scoprire le virtù medicinali di questa pianta. Nicaeensis invece deriva dal nome della città di Nicaea antica città ligure, colonia di Marsiglia, oggi conosciuta con il nome di Nizza.

La pianta cresce nei prati steppici primari, su substrati calcarei su suoli poco profondi, aridi d’estate, a volte anche nelle fessure delle rocce, quindi l’altopiano carsico delle Murge è un luogo ideale per la sua crescita.

Se si spezza il piccolo fusto della pianta, questo secerne una sostanza di aspetto lattiginoso e consistenza collosa che, al contatto con la pelle, può dare reazioni fotoallergiche ed irritanti. In tempi non molto lontani, il lattice era usato dai mendicanti per provocarsi delle profonde cicatrici in modo da impietosire i loro potenziali benefattori.

Con il lattice delle euforbie in passato alcune tribù si facevano dei tatuaggi scarnificanti, per uso rituale. Il lattice è particolarmente irritante per gli occhi, dove provoca dolori indicibili, che possono portare a cecità permanente. In passato, tale lattice era utilizzato anche come rimedio per calli e verruche. Applicato sull’escrescenza in quantità molto piccola, il lattice è in grado di rimuoverle in modo quasi miracoloso, e, diversamente da tutti gli altri agenti cheratolitici, senza lasciare alcuna cicatrice. Quest’uso del lattice delle euforbie è documentato nella medicina popolare di tutte le aree del mondo.

Le foglie dall’aspetto carnoso, sono collocate lungo la parte superiore dei rami e presentano un colore che va dal verde al rossiccio; sono lanceolate e di circa tre centimetri di lunghezza totale. I fiori sono di colore giallo-oro, a forma di ombrello e fioriscono da aprile a giugno.

Antiche leggende raccontano che la sostanza lattiginosa ottenuta dai rami, avesse proprietà magiche e che fosse adoperata dalla maga Circe per i suoi incantesimi. Molto probabilmente queste leggende derivano dalla circostanza che sul promontorio del Circeo, dove la leggenda sostiene vivesse la famosa maga, vi è sempre stata una grande quantità di euforbia.

Occorre aggiungere che in passato alcune popolazioni africane, utilizzavano la sostanza lattiginosa, prodotta dalla pianta per verificare la veridicità delle affermazioni di una persona. Se tale persona era ritenuta colpevole di un certo misfatto gli venivano stillate negli occhi alcune gocce del latte prodotto dalla pianta e se il povero malcapitato perdeva provvisoriamente la vista voleva dire che effettivamente aveva compiuto il crimine di cui era stato accusato e quindi definitivamente condannato.

Infine occorre dire che la pianta resiste molto bene agli incendi ed anzi sembra che Il fuoco ne favorisca la diffusione.

A ragione dello straordinario potere irritante del loro lattice, ogni uso casalingo delle euforbie è da evitare, e queste piante devono essere considerate come potenzialmente pericolose. Come sanno bene i cultori delle proprietà ornamentali delle euforbie, queste piante devono essere maneggiate con i guanti, evitando in modo assoluto il contatto con gli occhi. Non esiste in pratica alcun rimedio semplice per il trattamento delle irritazioni cutanee da euforbie, ed il contatto con gli occhi richiede l’immediato  ricovero in ospedale.

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Rosa di montagna sulla Murgia: pianta rara dalle credenze popolari https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/rosa-di-montagna-sulla-murgia-pianta-rara-dalle-credenze-popolari/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/rosa-di-montagna-sulla-murgia-pianta-rara-dalle-credenze-popolari/#respond Mon, 11 Jan 2021 07:33:26 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=9722 Lunghi mesi invernali ci attendono ancora e le temperature di questi giorni sono troppo lontane dal tepore del clima primaverile e dal risveglio della natura, perché dovremo aspettare aprile-maggio affinché camminando per i boschi caducifogli del Parco  Nazionale dell’Alta Murgia ci si possa imbattere in una pianta con larghe foglie di un verde intenso e […]

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Lunghi mesi invernali ci attendono ancora e le temperature di questi giorni sono troppo lontane dal tepore del clima primaverile e dal risveglio della natura, perché dovremo aspettare aprile-maggio affinché camminando per i boschi caducifogli del Parco  Nazionale dell’Alta Murgia ci si possa imbattere in una pianta con larghe foglie di un verde intenso e con dei fiori di straordinaria bellezza.

È la Rosa di Montagna (Paeonia mascula), una pianta abbastanza rara e molto localizzata, che cresce solo in alcuni punti dei boschi di roverella situati sulla fascia nord del Parco Nazionale dell’Alta Murgia e nelle zone particolarmente ombreggiate.

La pianta è così chiamata in onore di Peone. Ma chi era Peone? Peone era figlio di Asclepio il dio della medicina e riuscì, con le sue cure, a salvare Ade il Dio dell’oltretomba che era stato colpito da Eracle, sceso negli inferi per catturare Cerbero, il mitico cane a tre teste. La cosa però non andò giù a suo padre Asclepio che mosso dall’invidia decise di uccidere il suo stesso figlio. Così Ade per salvare Peone dall’ira di suo padre lo trasformò in una pianta dai bellissimi fiori. L’aggettivo mascula, invece, gli deriva dalla forma degli stami simili a piccoli organi sessuali maschili. Pur essendo chiamata in italiano Rosa di montagna la pianta non appartiene alla famiglia delle rose bensì a quella delle peonie.

La pianta si dice annunci la primavera ed il fiore, dopo essere sbocciato, dura solo pochi giorni, i fiori hanno un colore che va dal rosa intenso al rosso.

La pianta era nota agli antichi romani che la inserirono tra le cosiddette “erbe della luna” infatti ritenevano che fosse in grado di curare le cosiddette malattie lunari come i disturbi nervosi e l’epilessia inoltre si riteneva che tenesse lontani gli spiriti malvagi durante il sonno evitando gli incubi.

Un’altra credenza  popolare sosteneva che un infuso ottenuto dalla macerazione dei petali della pianta se utilizzato dalle raagzze alla sera per due settimane di fila avrebbe donato alle guance lo stesso colorito roseo dei suoi petali.

 

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Tortora selvatica: un tempo molto presente sulla nostra Murgia https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/tortora-selvatica-un-tempo-molto-presente-sulla-nostra-murgia/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/tortora-selvatica-un-tempo-molto-presente-sulla-nostra-murgia/#respond Fri, 08 Jan 2021 00:19:48 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=9678 Cinquant’anni fa era considerata uno degli uccelli maggiormente presenti, durante la stagione estiva, nei boschi della fascia premurgiana, oggi in parte, ricadenti nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, ed era una delle specie maggiormente cacciate. Purtroppo però nel corso degli anni, vuoi per la caccia vuoi per le modifiche all’ecosistema, la sua presenza si è fortemente […]

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Cinquant’anni fa era considerata uno degli uccelli maggiormente presenti, durante la stagione estiva, nei boschi della fascia premurgiana, oggi in parte, ricadenti nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia, ed era una delle specie maggiormente cacciate. Purtroppo però nel corso degli anni, vuoi per la caccia vuoi per le modifiche all’ecosistema, la sua presenza si è fortemente ridimensionata.

Stiamo parlando della Tortora selvatica (Streptopelia turtur). Delle stesse dimensioni della tortora dal collare, la tortora selvatica è facilmente identificabile sia per le penne della coda (timoniere), nere con apici bianchi, sia per le copritrici alari color ruggine con centri neri, inoltre gli adulti presentano le tipiche macchie nere frangiate di bianco ai lati del collo.

Un tempo immensi stuoli giungevano tra aprile e maggio dal continente africano per riprodursi nei nostri boschi, poi alla fine dell’estate, tra agosto e settembre, si riformavano nuovamente questi grandi stuoli per la cosiddetta “migrazione di ritorno”.

Oggi la tortora chiamata, in dialetto ruvese tùor’tr, è ancora presente come nidificante nei boschi della fascia premurgiana del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, ma il suo numero si è drasticamente ridotto, anche perché, oltre ad essere poco feconda, abbandona facilmente la cova se disturbata.

La tortora ha una dieta prevalentemente vegetale: semi di graminacee, grano, semi vari bacche ecc. Pastura sul terreno, e sebbene arboricola si reca all’abbeverata almeno due volte al giorno, al primo mattino ed al tramonto.

Ha un volo rapidissimo e può essere considerata il più veloce tra i columbidi presenti nel nostro Paese.

Una caratteristica della tortora selvatica (e della tortora dal collare), è la parata nuziale che avviene in volo con alzate a rapidi battiti d’ala ed a coda spiegata per poi scendere lentamente in volo circolare.

Il nido è grossolano, costituito da stecchi, fuscelli e radici labilmente intrecciati e scarsamente tappezzato. Generalmente depone due uova, bianche poco lucenti e lisce, deposte da metà maggio a metà luglio, ed incubate da ambo i sessi per circa 15 giorni, i giovani alimentati con il “latte” come gli altri colombidi lasciano il nido dopo circa 20 giorni, normalmente effettua due covate.

Da noi in Puglia e nel Parco nazionale dell’Alta Murgia nidifica un po’ dappertutto, dai boschi caducifogli di roverella alle pinete alloctone di Pino d’Aleppo sino ai vigneti a tendone come proprio lo scorso anno ho potuto personalmente constatare.

La tortora emette una nota rauca e ripetuta, “ruuurrr, ruuurrr” ed anche “turrrrturrrr”.

Come già detto, la tortora selvatica è presente in Italia come estiva e di doppio passo, giunge da fine aprile a tutto maggio, e ripassa dalla metà di agosto a tutto settembre.

Non possiamo affermare che la Tortora selvatica è specie in via di estinzione ma certamente meriterebbe una maggior tutela in considerazione del forte declino subito nel corso dell’ultimo mezzo secolo.

 

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Devil: il tremendo mini cane da pastore https://ilquartopotere.it/rubrica/amici-animali/devil-il-tremendo-mini-cane-da-pastore/ https://ilquartopotere.it/rubrica/amici-animali/devil-il-tremendo-mini-cane-da-pastore/#respond Tue, 15 Dec 2020 23:01:17 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=9306 La redazione Il racconto di Devil è tratto dal libro “99 cani e un lupo”, una raccolta di storie ispirate ad incontri casuali tra l’autore, Giuseppe Carlucci (Guida ambientale escursionistica e fotografo naturalista) e cani, e un lupo (Biagio) nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia… “Se non lo conoscete non potete capire perché l’ho chiamato Devil. […]

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La redazione

Il racconto di Devil è tratto dal libro “99 cani e un lupo”, una raccolta di storie ispirate ad incontri casuali tra l’autore, Giuseppe Carlucci (Guida ambientale escursionistica e fotografo naturalista) e cani, e un lupo (Biagio) nel Parco Nazionale dell’Alta Murgia…

“Se non lo conoscete non potete capire perché l’ho chiamato Devil. Devil è di piccola taglia (più piccolo di un volpino) e completamente nero, non è proprio bellissimo ed ha un pessimo carattere.

A guardarlo bene somiglia più ad un incrocio tra un volpino caduto nel catrame ed un pipistrello, quando ti incontra abbaia furiosamente per attirare l’attenzione degli altri cani del gregge, perchè lui, nonostante le dimensioni, è il capobranco, (o almeno crede di esserlo).

Come vi dicevo appena avvista un estraneo nei pressi del gregge parte alla volta dell’intruso abbaiando e ringhiando a più non posso. Giunto poi ad un paio di metri dal malcapitato si ferma (forse rendendosi, solo allora, conto della sua mole) e si guarda intorno cercando gli altri cani del gregge, tre grossi abruzzesi, ma vedendo che questi ultimi non l’hanno seguito nella sua “carica all’intruso”, ma anzi se ne stanno placidamente sdraiati, torna indietro più incazzato di prima abbaiando verso “i tre disertori”. Gli abbaia contro (forse delle parolacce in lingua canina) e poi torna alla carica dell’intruso e la scena si ripete per due o tre volte. Infine deluso e frustrato per il comportamento degli altri cani torna verso il gregge a testa bassa, bofonchiando qualcosa tra sé e sé .

Credo che abbia preso maledettamente sul serio il suo ruolo di mini cane da pastore, e come tutti quelli piccoli per farsi notare alza la voce. Devil segue un gregge di pecore e capre sulle Murge tra Altamura ed il bosco di Bitonto. In uno dei nostri numerosi incontri mi ha abbaiato contro così furiosamente che gli occhi sembravano uscir fuori dalle orbite e per quanto il suo pastore lo richiamasse lui continuava imperterrito ad abbaiare.

Quando passeggiavo in quel tratto di Murgia temevo di incontrarlo perché la sua aggressività, non vi nascondo mi metteva a disagio anche se sapevo bene che era tutta una messa in scena. Ora è da qualche tempo che non lo incontro più e devo confessarvi che il suo abbaiare furioso mi manca un po’ “.

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Il cardo dell’asino, dal passato ad oggi, gli usi di questa pianta murgiana https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/il-cardo-dellasino-dal-passato-ad-oggi-gli-usi-di-questa-pianta-murgiana/ https://ilquartopotere.it/rubrica/murgia-da-vivere/il-cardo-dellasino-dal-passato-ad-oggi-gli-usi-di-questa-pianta-murgiana/#respond Sun, 29 Nov 2020 23:37:43 +0000 https://ilquartopotere.it/?p=9050 Onopordo (Onopordum illyricum) In dialetto ruvese è conosciuto come “U cardàun dù ciucc”, ossia il cardo dell’asino, ed in effetti il suo nome volgare, oltre ad Onopordo è proprio cardo asinino. Infatti gli asini ne vanno matti e riescono a mangiare le sue foglie nonostante le tremende spine presenti sulle stesse. L’etimologia del nome deriva […]

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Onopordo (Onopordum illyricum)

In dialetto ruvese è conosciuto come “U cardàun dù ciucc”, ossia il cardo dell’asino, ed in effetti il suo nome volgare, oltre ad Onopordo è proprio cardo asinino. Infatti gli asini ne vanno matti e riescono a mangiare le sue foglie nonostante le tremende spine presenti sulle stesse. L’etimologia del nome deriva proprio da questa caratteristica, ossia dal binomio greco ‘ónos’, asino, e ‘pordè’, peto. Infatti mangiandone le foglie gli asini vanno incontro a degli effetti di “turbolenza intestinale” che li porta ad emettere sonori peti.

L’onopordo è una pianta erbacea e fa parte della famiglia delle asteracee. Le foglie basali hanno una superficie che appare vellutata, mentre lo scapo fiorifero può raggiungere i due metri di altezza.

Oltre all’Onopordo maggiore sulle Murge è presente anche Onopordum acanthium.

L’onopordo è presente in maniera diffusa su tutto l’altopiano delle Murge, in particolare in quelle zone che sono densamente pascolate, i suoi fiori, presenti durante i mesi estivi, sono di un intenso color lilla ed attirano tantissimi insetti.

In passato i capolini della pianta prima che fiorissero venivano raccolti lavati e dopo essere stati bolliti in aceto venivano posti sott’olio come fossero carciofini, occorre però precisare che in Murgia è presente anche il carciofo selvatico (Cynara cardunculus) i cui capolini si prestano molto meglio a tale utilizzo.

Della pianta si possono mangiare anche gli steli quando sono ancora teneri ossia prima della fioritura dei capolini. Gli stessi vengono raccolti tagliandoli dalla base ed una volta privati della cuticola esterna coriacea e delle spine possono essere cotti e mangiati, in particolare in passato si consumavano fritti in pastella come si fa per i gambi dei cardi coltivati. Il sapore è molto simile a quello degli asparagi ed hanno proprietà diuretiche ed epato protettive.

 

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