Anche se Il quartopotere può essere considerato uno sputo piccolo piccolo del mondo enorme dell’informazione sentiamo di condividere, parola per parola, l’opinione pubblicata ieri su Il Sole 24 Ore.com da Melzi D’Eril e Vigevani. Opinione esemplare. Anche il quartopotere si sforza, riuscendoci raramente, di “interrompere” il potere, anche se su scala infinitesimale più piccola.
Trump interrotto, una lezione di giornalismo davanti alle menzogne del potere
6 novembre 2020
Questo evento segna un passaggio nel giornalismo, una presa di coscienza del ruolo e della responsabilità di una professione che forse troppo presto era data per morta di fronte all’avanzata dei social, e che invece oggi ha “battuto un colpo”
di Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani
I cittadini devono poter conoscere qualunque cosa dice il loro presidente o un giornalismo serio impone di interrompere la diretta di un comizio, per impedire la diffusione di palesi falsità?
Nello spettacolo eccitante ma insieme penoso del dopo elezioni americane, giovedì notte abbiamo assistito a una nuova pagina storica del giornalismo. Tre tra i maggiori canali televisivi – MSNBC, ABC e CBS – hanno deciso di interrompere la diretta di una conferenza stampa del presidente Trump, quando ha mentito, affermando di aver vinto le elezioni «se ci contano i voti legali».
Non solo, ma l’anchorman della MSNBC, Brian Williams, ha ritenuto di rendere la propria amarezza esplicita: “ci troviamo ancora nella posizione inusuale non solo di interrompere il presidente degli Stati Uniti ma di correggere il presidente degli Stati Uniti. Non ci risulta una vittoria di Trump”.
Diversa la scelta della CNN, che ha proseguito la diretta e poi ha pubblicato subito dopo un lungo articolo con l’elenco delle affermazioni false diffuse dal presidente, ognuna accompagnata da una puntuale smentita. Ancora differente la condotta di the Fox news che ha trasmesso il filmato senza commento.
Una scelta sofferta
La scelta di staccare la spina a uno dei politici più influenti al mondo può essere opinabile per più di un motivo. Escludere dal dibattito pubblico una voce con un largo consenso, anche quando diffonde fatti falsi, probabilmente non la condanna al silenzio che meriterebbe ma crea circuiti informativi alternativi – le famose bolle mediatiche di cui tanto ha parlato Cass Sunstein – dove tali voci accedono comunque al “loro” pubblico, che continua ad adorarle senza contraddittorio. E, anzi, con lo stigma del martirio, che rischia di aumentarne la popolarità.
Poi, il principio liberale del «conoscere per deliberare» suggerisce di consentire l’accesso ai media di tutte le idee, anche le più irritanti, persino di quelle antidemocratiche e finanche di quelle che nutrono le proprie radici nelle paludi di falsità conclamate. La fiducia nella capacità delle persone di scegliere non solo l’idea migliore ma anche di espellere quella peggiore e di riconoscere quella basata su fatti falsi, in un sistema pluralista, consente di mantenere intatta una simile libertà.
Infine, interrompere un discorso così importante come quello del presidente Trump, in un frangente così drammatico, priva i cittadini della possibilità di conoscere ogni passaggio, ogni sillaba del suo pensiero e quindi, con ciò, di poterlo giudicare.Tuttavia, ci sembra che la scelta dei tre grandi network sia nel complesso non solo comprensibile, ma forse anche apprezzabile, a prescindere da ogni partigianeria politica.
L’orgoglio del giornalismo
Con questo atto dirompente, il giornalismo rifiuta di essere la cassetta delle lettere (meglio dei video) del potere politico. I programmi di cronaca e approfondimento politico dimostrano così di voler restare uno spazio mediato, filtrato da chi esercita appunto il mestiere del giornalista. Essenza del mestiere è anche prendersi la responsabilità di decidere che cosa agli spettatori si debba dire e che cosa agli spettatori si possa o si debba tacere, in un clima, come è accaduto in questo caso, di piena trasparenza. Si spegne il microfono, spiegando il perché.
In fondo, proprio l’intermediazione giornalistica distingue e distinguerà sempre più un organo di informazione dalle miriadi di canali attraverso cui passano dati e opinioni tramite la rete. E intermediazione significa controllo accurato delle fonti, verifica maniacale dei fatti, argine alla propalazione di dati falsi senza contraddittorio. Proprio nell’era della iperinformazione, l’autorevolezza del giornalismo si misura non nella quantità ma nella qualità delle notizie, nella capacità di fornire strumenti per capire la realtà e non armamentari propagandistici.
Questo evento segna un passaggio nel giornalismo, una presa di coscienza del ruolo e della responsabilità di una professione che forse troppo presto era data per morta di fronte all’avanzata dei social, e che invece oggi ha “battuto un colpo”. E un colpo forte.Certo, questo accade nel mondo anglosassone dove, per citare uno tra gli episodi più noti, più di vent’anni fa il conduttore della BBC Jeremy Paxman ripropose a un politico reticente per 14 volte la stessa domanda.
Speriamo sia di buon auspicio perché anche in Italia il mondo dell’informazione alzi la testa contro politici che non accettano domande insidiose, rifiutano il contraddittorio, mettono veti sui giornalisti sgraditi, inviano dichiarazioni preregistrate, eccetera, eccetera, eccetera.