A Corato, come a Herat, a Kabul o a Mosul, i concorsi di bellezza non godono del patrocinio dell’Amministrazione Comunale.
I fatti: il Comune di Corato, probabilmente unico in Italia, ha negato il patrocinio morale (nessuno aveva chiesto denari) alla tappa di “Miss Italia” che come ogni anno da ormai molti anni si è tenuta a Corato lo scorso 26 giugno.
Il tema del “gran rifiuto” è stato affrontato durante l’ultimo Consiglio Comunale (28 giugno) a seguito di un quesito posto dal Consigliere Vito Bovino cui ha cercato di rispondere dapprima un imbarazzatissimo, ellittico e a tratti incomprensibile Assessore Marcone supportato poi dal Sindaco che invece ha parlato in modo chiaro. Secondo De Benedittis il diniego del patrocinio morale discende da una “…riflessione sul corpo delle donne e sul concetto di bellezza. Che cosa è la bellezza e in che misura si declina in relazione al corpo delle donne? Si ritiene che quella idea di bellezza proposta dal concorso “Miss Italia” sia molto discutibile, sia molto relativa e che anzi sia molto riduttiva” e riconducibile “ad una visione maschilistica e consumistica”.
Premesso che è lecito per ogni Amministrazione fare le sue scelte, ritengo che sia possibile per i cittadini esprimere le proprie valutazioni. Sui concorsi di bellezza in sé possiamo dire certamente che si sono affermati nella nostra epoca, in Italia nel dopoguerra, ma che continuano a svolgersi unicamente nei Paesi democratici: sarà una stranezza oppure una coincidenza fortuita, ma i regimi totalitari o teocratici non consentono alle miss di sfilare. Dalle nostre parti poi “Miss Italia” ha sicuramente rivoluzionato il costume in un Paese in cui fino a pochi anni prima era considerato sconveniente per le donne andare in bicicletta o partecipare a gare ciclistiche. Probabilmente il Sindaco non ha notato la strana coincidenza che si ripete sempre e che vede l’organizzazione dei concorsi delle miss solo nei Paesi democratici, ma ha ritenuto opportuno evidenziare che il giudicare una donna secondo canoni precostituiti e convenzionali è una forma di possesso maschilista tipica della nostra società consumistica.
Quest’ultima poi è un’affermazione puramente ideologica, astorica e chiaramente non dimostrabile. La nostra società, infatti, ha i suoi canoni di bellezza femminile così come tutte le società e tutte le culture hanno avuto i loro. Gli scavi presso i siti delle civiltà preistoriche dell’area del Mediterraneo restituiscono (solo) statuette fittili di corpi femminili, simboli di fertilità, prodotti da culture non necessariamente patriarcali. Canoni di bellezza femminile diversi dai nostri si trovano in ogni cultura presente e passata e anche in quelle precolombiane o orientali prima del loro contatto con il mondo occidentale. In archeologia romana le statue femminili vengono datate in base all’acconciatura dei capelli che rispecchia sempre quella dell’imperatrice del tempo. I canoni di bellezza sono sempre esistiti, la moda non è soltanto un prodotto consumistico e parole come cosmetica ed estetica hanno una radice greca: non è possibile in alcun modo circoscrivere la presenza di un canone di bellezza ad un’idea maschilista, né tantomeno pensare che solo la nostra società voglia imporre una forma al corpo delle donne, laddove poi proprio la nostra cultura (consumistica) ha liberato le donne da tantissime rigide costrizioni materiali (ad esempio i busti) che erano d’obbligo fino a poco più di 100 anni fa.
Cosmetica ed estetica, cosa indicano questa due parole? La bellezza è nell’armonia e si percepisce attraverso i sensi. Millenni di poesia amorosa, da Saffo fino allo Stil Novo per arrivare a Foscolo e oltre, ci parlano di una bellezza femminile che irradia dalle forme esteriori e che giunge al nostro intimo attraverso gli occhi, descrivendola come una forza che soggioga e che domina il carattere altrui fino a condurlo in uno stato simile alla malattia. Il mal d’amore e la follia amorosa, manifestazioni descritte con dovizia di particolari da legioni di poeti, scribi, commentatori, agiografi e cortigiani, nulla hanno a che vedere con la società consumistica, ma muovono da uno stesso presupposto: ci sono donne che più di altre – in ogni epoca e in ogni società – rispecchiano i canoni di bellezza del tempo.
La nostra società è democratica per cui ha sostituito le principesse e le discendenti delle famiglie regnanti, esempi di bellezza, di stile e di moda a prescindere, con le ragazze del popolo cui è data l’occasione di diventare “reginette” (la corona è un simbolo non casuale) grazie al loro aspetto fisico e alla padronanza del palcoscenico e non certo per diritto di nascita. Questo è il senso della manifestazione.
Quella di De Benedittis, e lo dico con rammarico, è una visione rovesciata della realtà.
“Corato deve lanciare un segnale”, ripete la maggioranza di Sinistra. E’ così da quasi due anni (e anche per “Miss Italia”) da Palazzo di Città si lanciano segnali e si continuano quelle “lotte” che tanto appassionano un certo elettorato. Comprendo che ad alcuni possa non sembrare vero il continuare a fare con lo stipendio da Assessore o con lo status di Consigliere Comunale quello che hanno sempre fatto nelle associazioni e nei gruppi che compongono la galassia dell’estremismo ideologico: amministrare un Comune, concedendo a tutti libertà di espressione, è però una cosa diversa, cosa che purtroppo a costoro non interessa affatto e per la quale non hanno, non dico le competenze, ma proprio la forma mentis.