Giunge in redazione una missiva da parte del prof. Gaetano Bucci, in risposta alla lettera aperta riguardante la “Giornata del Ricordo” del prof. Giovanni Capurso, presidente dell’Anpi Corato, inviata ai direttori delle testate locali, come si evince nella stessa.
La nostra redazione, dopo un’attenta analisi del contenuto della suddetta, pur apprezzando il lavoro di ricerca storica del prof. Capurso, ha ritenuto opportuno non pubblicarla non condividendo alcuni passaggi che sembravano giustificare una, e non l’unica purtoppo, delle più brutte pagine della nostra storia.
Nel rispetto di quelle vittime innocenti forse sarebbe stato sufficiente cogliere l’occasione per riflettere e meditare su tutti i crimini di guerra, ricordando chi ha subito un’ingiustificata violenza, evitando qualsiasi tipo di strumentalizzazione politica.
Lettera di Gaetano Bucci
“Il prof. Giovanni Capurso, dopo aver inviato una lettera aperta ai Direttori delle testate locali, poi in pubblicazione, sul tema delle foibe nella Giornata del Ricordo ed aver riportato la stessa sul proprio profilo Facebook, scrive un ulteriore post sempre sul proprio profilo Facebook in cui precisa: «La ricerca storica è una scienza (anche se non esatta) che richiede tempo, passione, metodo e fatica. Non parlo di opinioni. E quando pubblico un intervento in questa veste, cioè in quella di storico, mi rifaccio a dati precisi dopo aver consultato diversi volumi o essere andato in archivi, come ho fatto anche per l’ultimo intervento. Chi li contesta, lo deve fare sulla base di altrettanti dati e fonti, altrimenti dice solo chiacchiere. Non faccio apologia di niente, non sono iscritto a partiti e non ho partecipato alla campagna elettorale. Vorrei dire ad altre persone, che rispetto nel loro lavoro, che quando parlo di cose su cui ho competenza vorrei essere rispettato come uomo e come professionista».
Credo, ma spero di sbagliarmi, che egli se la sia presa per l’animato dibattito provocato dalla sua lettera che il sottoscritto ha ripreso definendola errata nel merito, fuorviante nello scopo e addirittura provocatoria rispetto all’attuale ricorrenza della Giornata del Ricordo. Ho motivato, seppure in modo sintetico e con l’avvertenza che non intendevo “entrare nei dettagli”, quelle affermazioni con una serie di considerazioni sia storiche che di attualità e di opportunità politica. Soprattutto ho invocato, alla fine del mio intervento, la necessità, per il nostro Paese e per la nostra comunità locale, di “pacificazione nazionale”. E se proprio non è possibile una “conciliazione” almeno che ci si accontenti di reciproca comprensione e tolleranza tra parti e interpretazioni storiche finora inconciliabili.
Ebbene, tutto inutile. Non solo il prof. Capurso non ha colto lo spirito e il senso, oltre che il contenuto, del mio intervento, ma si è addirittura come “inalberato”. Egli, infatti, si è prodigato, non so se istigato o meno, a sminuire quel che ho scritto, provocando addirittura commenti di sdegno e denigrazione verso la mia persona e professione. Per uno che si dichiara democratico, ed è presidente della sezione Anpi di Corato, è veramente il colmo. Me ne dispiace, anche perché ho sempre stimato il prof. Capurso, soprattutto per la sua eccezionale capacità di coniugare le “virtù evangeliche” con i “valori laici”.
Preciso, se ce ne fosse bisogno, che non sono “fascista”, ma che a questo termine assimilo ogni persona o sistema politico che sia antidemocratico, autoritario, dittatoriale. Anzi, per maggior esattezza, rilevo che – al di là dell’uso e abuso retorico di tale termine – sempre più spesso, noto forme di “fascismo vestite di anti-fascismo”. Insomma, sto attento alla “mimesi della politica”, oltre che della storia. L’ipocrisia è infatti per me il “brodo di coltura” in cui si sviluppa oggi un certo “fascismo dell’antifascismo”, una forma di “fascismo smidollato” del nostro tempo, tanto ammaliante e dolce all’apparenza quanto insidioso e amaro nella sostanza.
Capurso scrive che il suo è uno scritto di “rigore storico”, seppure egli stesso dichiari che la storia non sia una “scienza esatta”. E già questa è una prima contraddizione, perché se la storia non è scienza esatta, essa è a tutti gli effetti “scienza interpretativa” dei fatti. Se la storia non è “scienza assoluta”, essa è in qualche modo è “scienza relativa”. Insomma, se la storia è “rigorosa nei metodi”, rimane pur sempre libera e democratica nel suo esercizio. Inoltre, ad una lettura, anche “sommaria”, della lettera del prof. Capurso si evince benissimo che il suo non è affatto un contributo “storico da storico”, ma una lettera propagandistica, non si capisce se per conto dell’Anpi o meno, in cui si mischiano elementi di storiografia, di filosofia della storia e politica spicciola.
Infatti, la Giornata del Ricordo viene dal caro prof. Capurso ridotta alla semplice contestazione delle foibe e addirittura alla loro giustificazione storica a motivo di ciò che aveva “combinato” il fascismo. Egli riporta pari pari la posizione dell’Anpi che in tutta Italia, ed ora anche a Corato, sta seminando odio e zizzania storica. Senza far riferimento ai dati complessivi del “fenomeno storico” delle foibe e al suo inquadramento storico, Capurso arriva addirittura a sostenere che l’infoibamento di solo due o tre donne e bambini non sia stato altro che un “artificio retorico” per ingigantire i fatti.
Non contento, il prof. Capurso aggiunge che le 198 vittime pugliesi infoibate, compresi quelli riconosciuti come “antifascisti”, e forse anche i cinque coratini segnalati già prima dal prof. Tandoi, “erano collaborazionisti”. Il minimo che si possa dire a questo punto è che egli, a dispetto della grande professionalità storica che si auto-attribuisce, ha le idee piuttosto confuse. Confuse forse da quell’unico storico che egli cita, tal Eric Gobetti (che pare sarà in tour anche a Corato), asservito all’Anpi, il quale ha scritto il libro-provocazione “E allora le foibe?”, e che proprio ieri a Verona ha rifiutato un pubblico dibattito sull’argomento. Eppure, il caro prof. Capurso dice di “rifarsi a dati precisi, consultato volumi, essere andato in archivi”.
Strano, molto strano tutto ciò se il prof. Capurso incappa in marchiani errori di semplice ricostruzione dei fatti, non di interpretazione, come nel punto in cui attribuisce agli italiani la strage di 269 civili a Lipa che fu invece compiuta, per rappresaglia esclusivamente da soldati nazisti, dopo un attacco titino, nella primavera del 1944 quando ormai i soldati italiani della RSI erano “asserviti” senza alcun potere decisionale ai tedeschi. Ma questa non è la sola “cantonata” del caro prof. Capurso.
Nella sua lettera ai direttori, egli infatti afferma che «il fascismo iniziò precocemente una forzata e brutale italianizzazione della popolazione slava…». Peccato che tutti gli stati-nazione del tempo, a cominciare dalle liberissime e democraticissime Francia e Gran Bretagna per finire alla Germania e alla stessa Russia diventata comunista, facessero la stessissima politica di auto-tutela e di controllo dei propri confini con la fine dei Grandi Imperi seguita al Primo conflitto mondiale.
Peccato proprio che Capurso non faccia alcun riferimento al fatto che il processo di “assimilazione forzata” fatto dal fascismo non sia affatto paragonabile alle epurazioni e alle pulizie etniche a cui furono assoggettate le popolazioni italiane sul confine nord-orientale e in tutta l’Istria, la zona giuliana e la costa della Dalmazia dal 1943 in poi, ed anche a guerra completamente conclusa. Un esodo che vide svuotare quasi per intero città grandi più o meno come Corato e che corrispondono ai nomi di Zara, rasa al suolo dai bombardamenti alleati, Fiume, Pola ed altre ancora. Però il prof. Capurso è “storico di razza”, si rifà a dati precisi, consulta volumi e va per archivi.
Il caro collega sostiene che la “bontà e obiettività storica” della sua lettera è suffragata da altri ampi riferimenti storiografici. Peccato che egli citi solo due testi, uno di M. Bloch, “Apologia della storia o il mestiere dello storico”, e l’altro di E. Hobsbwam, “Il secolo breve”, che niente hanno a che fare con la storiografia della Giornata del Ricordo e che siano invece testi di filosofia della storia e di storiografia di un preciso orientamento politico-ideologico. Però il prof. Capurso è “storico di razza”, si rifà a dati precisi, consulta volumi, va per archivi.
Capurso scrive che «a Trieste si costituì l’unico campo con pratiche di sterminio presente sul territorio italiano: la Risiera di San Sabba… a cui contribuirono attivamente le delazioni e gli arresti compiuti dai fascisti». Egli, invece omette di dire più esattamente che San Saba (non San Sabba) in epoca fascista fu prima semplice risiera, poi progressivamente dismessa e utilizzata come deposito militare e caserma e che divenne campo di prigionia provvisorio messo su dai tedeschi e denominato “Stalag 339”, che servì proprio per la detenzione dei militari italiani catturati dopo l’8 settembre 1943. Poco dopo, in ottobre, la ex-risiera divenne un Polizeihaftlager (campo di detenzione di polizia), ovvero centro di raccolta di detenuti in attesa di essere destinati ai campi di sterminio in Germania ed in Polonia. In Italia i nazisti, tra l’altro, i tedeschi avevano creato quattro Polizeihaftlager, uno appunto a Trieste, e gli altri a Fossoli, a Borgo san Dalmazio e a Bolzano.
Anche in questo caso gli italiani c’entrano poco o niente, essendo con i fatti abominevoli della Risiera di San Saba, in quanto la città di Trieste e tutto il territorio circostante, erano nel completo e assoluto controllo dei reparti nazisti. Non solo, spesso a rimetterci la vita in quel luogo non furono solo comunisti e antifascisti, ma anche molti fascisti ritenuti, o semplicemente sospettati, dai tedeschi di essere “vili traditori”. Però il prof. Capurso è “storico di razza”, si rifà a dati precisi, consulta volumi, va per archivi.
Credo che basti a suffragare la mia più che legittima risposta alla Lettera del prof. Capurso, lettera ripresa dai social e che tanto clamore ha fatto… in verità più per le cose omesse o mal riportate che per altro. Però il prof. Capurso è “storico di razza”, si rifà a dati precisi, consulta volumi, va per archivi.
Mi fermo qui. Spero solo che il prof. Capurso non se la prenda per le mie opportune e dovute precisazioni. Spero anche che egli abbia almeno il coraggio e la modestia di ripetere, anche come storico, oltre che come collega, l’arcinota frase di Voltaire: «Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla».
Sarebbe un bel gesto di uomo e di intellettuale sui “sentieri interrotti” della verità storica, tanto per parafrasare Martin Heidegger. Sarebbe un bel gesto che forse può servire a impedire che Corato, come ho già rilevato, venga falsamente ideologizzata ed esposta a contrasti insopportabili per la nostra coscienza libera e democratica”.