Sempre più giovani protagonisti di crimini efferati nati da relazioni malate. Non è amore: è controllo, rabbia, possesso.
Riflessioni di una adolescente
di Domenichina Di Gioia
Tuonano ancora forte le parole dell’assassino di Martina Carbonaro, la quattordicenne trovata senza vita la notte tra il 27 e 28 maggio: “L’ho uccisa perché mi aveva lasciato”.
I due giovani si erano dati appuntamento la sera del 26 maggio, dopo la loro rottura, per chiarirsi sulla loro relazione, nonostante lei fosse già riluttante nel riallacciare i rapporti, ma poi, al culmine di una lite, l’ex fidanzato 19enne Alessio Tucci, reo confesso dell’omicidio, l’ha colpita e uccisa a colpi di pietra, così come confermato anche dall’autopsia.
Uno degli innumerevoli femminicidi “giustificati” da quello che l’assassino definisce “amore” e “paura di perdere il partner”, dietro cui si cela solo possessività e manipolazione.
Questo caso ci ha portato indietro con la memoria allo scorso marzo quando altre due vite sono state spezzate nel pieno della loro corsa: Sara Campanella e Ilaria Sula, entrambe ventiduenni, entrambe uccise. Sara è stata accoltellata a Messina da un compagno di università che la perseguitava da tempo, mentre Ilaria è stata trovata morta in una valigia, anche lei uccisa dal suo ex fidanzato.
Epiloghi di storie che sono l’ennesima prova di una crudeltà che si traveste da “amore”, ma che in realtà è ossessione e che, in alcuni casi, sfocia nella morte.
Tutto ciò alimenta la paura quotidiana.
Ma vivere non dovrebbe essere qualcosa di cui non temere? Eppure i numeri raccontano un’altra realtà: ogni due giorni, in Italia, una donna viene uccisa, ogni ora, nel mondo, cinque donne perdono la vita per mano di un uomo con l’assurda conseguenza che spesso la colpa della violenza ricade proprio sulle vittime. E così, la società con i suoi giudizi e pregiudizi finisce per negare loro la libertà più basilare: quella di uscire senza paure, quella di dire “no” o quella di dire ‘’basta’’ per porre fine a una relazione.
“Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima’’, questo è lo slogan che risuona in molte manifestazioni contro il femminicidio, un grido di speranza che accomuna donne di ogni età, unite dalla volontà di porre fine a questa che ormai è una vera e propria piaga sociale.
Ogni giorno, in Italia e nel mondo, troppe donne vengono private dei propri diritti da uomini che non accettano un rifiuto, che ammazzano per gelosia. Eppure la libertà personale è un diritto universale, a condizione che non limiti quella degli altri.
Com’è possibile, allora, pensare di essere superiori a un’altra persona al punto da annullarne la volontà?
Sicuramente l’illusione di superiorità è il frutto di meccanismi psicologici, sociali e culturali legati al potere, alimentati probabilmente da secoli di storia patriarcale.
Il femminicidio rappresenta il risultato estremo di una serie di ideologie che, per quanto si pensi siano superate, continuano a sopravvivere nei comportamenti e nei pensieri di molte persone, ma questa crescente ondata di violenza sembra rivelare qualcosa di più complesso: un disagio profondo e una rabbia disarmante diffusi soprattutto tra i giovani.
Un problema che parte solo da lontano? È solo il risultato di una cultura patriarcale?
Purtroppo gli ultimi casi di cronaca rivelano che a macchiarsi di femminicidio non sono soltanto uomini maturi dentro cui queste concezioni patriarcali potrebbero essere più radicate, ma anche ragazzi, forse mossi più da una rabbia che nasce da insicurezze, aspettative deluse e incapacità di gestire le emozioni: condizioni che spesso sfociano in comportamenti violenti.
Molti femminicidi tra i giovani rappresentano l’apice di una serie di dinamiche di manipolazione, controllo e oggettificazione; la donna, la cui identità viene annullata a causa della gelosia, alimentata da insicurezze e paure del partner, diventa ‘“proprietà’’.
Ma non sarà che questo atteggiamento affondi le sue radici già nell’età dell’infanzia? Forse a causa di genitori troppo accondiscendenti, incapaci di dire quei “no”, funzionali e fondamentali alla maturazione del bambino, che poi favoriscono la crescita di figli convinti di avere sempre ragione, incapaci poi di accettare un rifiuto?
A peggiorare la situazione tra i giovani è indubbiamente anche l’abuso di alcol e droghe che unito ad altri fattori contribuiscono a rendere alcuni di essi più aggressivi, alterati e sempre meno consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni anche all’interno di una relazione di coppia, così come determinante è anche il ruolo dei social e delle istituzioni.
Infatti in un mondo in cui la propria vita privata si mescola con quella pubblica tramite i social, la possibilità di controllo e manipolazione è aumentata notevolmente.
Eppure questi strumenti, proprio per il grande ruolo che hanno all’interno della nostra società, se solo usati consapevolmente potrebbero contribuire a favorire l’emancipazione, a diffondere messaggi di rispetto, educazione sentimentale, parità e unire simbolicamente tantissime persone, ciascuna con idee proprie, ma evidentemente così non è.
Per questo è fondamentale investire su scuola e famiglia, i primi ambienti dove si formano i valori: insegnare a riconoscere e gestire le emozioni, a rispettare l’altro e a distinguere tra amore e possesso.
È necessario un cambiamento profondo. Per costruire una società più giusta, in cui ognuno faccia la propria parte, occorre un cambiamento che parta dai singoli, a favore di una cultura basata sul rispetto reciproco e sulla parità, affinché maturi fortemente il principio che la libertà altrui non deve mai essere calpestata se si vuole costruire una relazione sana. Nella speranza che solo così potremo smettere di vedere l’amore trasformarsi in morte!