Quando la libertà di espressione si scontra con il pensiero unico: siamo ancora in democrazia o solo nella sua illusione?
Cosa intendiamo davvero quando parliamo di “democrazia”?
È un termine che utilizziamo con fierezza, quasi con vanto, come a voler sottintendere una presunta superiorità civile e morale. Ma siamo sicuri di comprenderne davvero il significato?
Semanticamente, democrazia è un termine che racchiude in sé un significato e un valore gigantesco. Si tratta infatti del connubio di due termini greci: demos, il popolo, e kratos, il governo, traducibile in “governo del popolo”.
Si comprende bene che la sola idea di affidare le redini di uno Stato al popolo, strappandole a monarchi e oligarchi, è rivoluzionaria.
Agevolare il dibattito politico, promuovendolo e contrastando ogni forma di apatia sociale, è il fondamento primario di ogni Stato che tende ad ergersi allo status di “democratico”.
Occorre però prestare attenzione e precisare:
“Governo del popolo” non si traduce con “piena e assoluta libertà”, che sconfinerebbe in anarchia. Un corretto dibattito democratico si poggia su regole che devono essere rispettate. A dirlo è il primo articolo della nostra Costituzione, che recita:
“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Ma è il secondo comma a chiarire il principio cardine:
“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Questo passaggio è cruciale: la sovranità non è illimitata, non è arbitrio, e certamente non è prevaricazione.
Eppure, nel concreto, il modello democratico viene spesso distorto.
Sembra quasi che in molti non abbiano compreso – o forse scelgano di non comprendere – ciò che i padri costituenti avevano intenzione di dire.
Uno degli esempi più significativi si trova negli ambienti scolastico-accademici: luoghi che dovrebbero promuovere il pensiero critico e il pluralismo, e che invece si trasformano, troppo spesso, in fucine di pensiero unico. Per mano di figure che, piuttosto che porsi come mediatori del dibattito, si ergono a padroni di una presunta verità, rivestendosi del mantello dei valori democratici, senza però accorgersi di essere loro stessi i primi a stracciarlo.
Il risultato finale?
Una carenza sempre più preoccupante di acume critico nelle nuove generazioni, che tanto si urla di voler tutelare.
E quindi, che facciamo?
Di fronte ai rischi citati, dovremmo forse evitare a priori il confronto politico?
Ma è proprio questo il punto: l’interesse per la cosa pubblica deve o no accumunare tutti noi?
La democrazia si alimenta di confronto, non di imposizione.
Non esiste progresso senza dissenso, e non c’è libertà senza la disponibilità ad ascoltare anche ciò che ci disturba.
Pretendere di possedere una verità assoluta e rifiutare il dialogo è il modo più diretto per tradire la democrazia che diciamo di voler difendere.