Studenti rifiutano il colloquio orale per protestare contro il sistema scolastico. Il ministro risponde con la linea dura. Ma dove finisce la protesta e dove inizia il rispetto delle regole?
Da neodiplomato, con ancora addosso l’adrenalina e il peso simbolico di un esame che dovrebbe sancire il passaggio alla “maturità”, non ho resistito a qualche considerazione. Ma cosa significa davvero essere “maturi”? E chi lo decide? La recente protesta di alcuni studenti veneti mi ha spinto a riflettere proprio su questo: un gesto forte, un sistema che traballa. E una risposta istituzionale che forse ignora il disagio di fondo.
Ha suscitato forte dibattito la vicenda che ha visto protagonisti diversi studenti, i quali, nel corso dell’esame di maturità, hanno deciso di boicottare il colloquio orale per denunciare le criticità del sistema scolastico italiano. Un gesto che ha immediatamente attirato l’attenzione del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, che ha promesso provvedimenti severi in futuro contro chi proverà a venir meno al “rispetto delle regole e del merito”.
Prima di trarre conclusioni affrettate, è bene fare necessari chiarimenti. I ragazzi si sono regolarmente presentati davanti alla commissione, ma, forti della promozione già acquisita grazie ai crediti, hanno rifiutato di sostenere la prova orale. Hanno invece sollevato una protesta contro le falle del sistema scolastico. La risposta del ministro non si è fatta attendere: chi rifiuterà di sostenere l’esame verrà bocciato, ha dichiarato senza mezzi termini, suscitando la polemica del mondo studentesco.
Che il sistema scolastico italiano sia afflitto da gravi problemi è, purtroppo, un dato di fatto. Carenze strutturali, scarsità di personale, un sistema di valutazione spesso ritenuto poco equo e, non da ultimo, docenti in alcuni casi inadeguati al proprio ruolo, come dimostrano i comportamenti e le esternazioni inopportune di taluni, balzati persino agli onori della cronaca. Protestare per questi motivi è legittimo, anzi, è un diritto costituzionalmente garantito.
Tuttavia, resta discutibile la scelta del momento e del contesto. L’esame di maturità non è solo una prova scolastica, ma un atto formale con valore giuridico, che sancisce il passaggio alla vita adulta. Violare le sue regole mina la validità dell’intero sistema e, di fatto, rischia di ridurre una denuncia seria a un atto provocatorio, fine a sé stesso.
Viviamo in un’epoca in cui, per farsi ascoltare, sembra necessario alzare la voce, cercare il gesto clamoroso. Sensazionalismo?. Ma così si rischia di perdere efficacia e soprattutto credibilità. Esistono altri spazi – nelle scuole, nelle piazze, sui media – dove far valere il proprio diritto di critica in modo costruttivo.
D’altro canto, anche la risposta del ministro è apparsa sbrigativa e priva di apertura al dialogo. Se è vero che un esame non sostenuto merita, per regolamento, la bocciatura, è altrettanto vero che la scuola dovrebbe educare anche al confronto. E forse, un ministro dell’Istruzione avrebbe potuto cogliere l’occasione per aprire un dibattito più ampio, invece di chiudere la questione con una condanna netta.
In definitiva, l’esame di maturità, nel bene e nel male, resta quello di sempre e probabilmente lo rimarrà ancora per un po’ di tempo: un rito di passaggio, tanto simbolico quanto concreto. Ma la domanda, alla fine, sorge spontanea: una vera “maturità”, la si è mai raggiunta?