Da una ricerca storica presso l’Archivio di Stato di Bari a cura di Vincenzo Catalano e Giovanni Capurso
Nella prima metà del Novecento le botteghe dei sartierano certamente punti di ritrovo dove poter conversare e leggere comodamente: farsi confezionare un vestito dal sarto era un segno di benessere ed agiatezza.
Le sartorie erano frequentate spesso da persone che, oltre ad avere disponibilità economiche per farsi un vestito su misura, erano mediamente istruite o poco sopra la media. Era proprio in luoghi come questi che non di rado durante il regime fascista circolavano i giornali clandestini. La diffusione di questa stampa aumentò soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Dalle nostre ricerche non a caso apprendiamo che durante il Ventennio tra gli schedati e confinati tanti erano i lavoratori di questo antico e nobile mestiere (a tal proposito segnaliamo il bel volume di Maria Schirone, L’elegante Sovversivo, edito da Radici Future, 2023).
Ciò accadde anche nella nostra Corato. Il protagonista della storia in cui ci siamo imbattuti è un certo Di Candido Salvatore, di mestiere appunto sarto, con sei figli a carico e di “idee socialiste”. Abitava in via Moschetti 3, una stradina anonima in pieno centrotutt’oggi con la stessa intitolazione. Nel salottino del suo locale, frugando nel posto giusto, non era difficile trovare e sfogliare giornali come “L’Avanti!” o altri periodici clandestini.
Tra il 1940 e il 1941 la guerra stava andando male, anzi malissimo. Il tentativo di invasione della Grecia era un disastro. La censura s’intensificò. Divennero scarse le cosiddette “veline” sull’andamento del combattimento, perché sulle notizie militari e sulle corrispondenze di guerra venne imposto un doppio vaglio censorio. Così i corrispondenti di guerra erano costretti a descrivere più le impressioni che i fatti. Eppure molti coratini avevano tra i loro figli soldati al fronte. Volevano sapere. In tanti sapevano dove recuperare le notizie sull’andamento della guerra. Presso la sartoria Di Candido iniziò unostrano via vai. Tra coloro che la frequentavano c’erano un ex assessore socialista e degli ex confinati. Insomma, la sartoria non doveva proprio passare inosservata.
E poi la fame aumentò. Il cibo già scarseggiava. L’ingresso in guerra dell’Italia non fece che aggravare la stanchezza e il malessere che serpeggiavano da anni nella popolazione, tramutati ormai in disperazione. Il Questore riportò, infatti, che migliaia di contadini scesero in piazza per protestare ritrovandosi a ridosso “dell’antica camera del lavoro” e “per il loro rossismo avevano fatto intervenire le autoblindo”.
Per incoraggiare la folla, qualche tempo prima i “caporione” avevano persino scritto il testo di una canzone di cui il Questore riporta la prima strofa:
“A Taranto c’è la sposa
A Brindisi lo sposo
A Monopoli il compare
Nell’estate 1941 le forze dell’ordine entrarono nel locale del sarto e trovarono i giornali e alcune persone in sua compagnia. Alcuni frequentatori abituali del locale vennero prelevati dalle loro case. L’8 agosto 1941 Di Candido venne interrogato e fu assegnato al confino “per aver svolto subdola e tenace azione disfattista e antifascista”. Nel verbale della Legione dei Carabinieri Reali di Bari sono riportati i nomi di coloro che frequentavano abitualmente la sartoria “che provengono dalle file socialiste”: Loiacono Alfredo, Mancini Antonio, Strippoli Luigi e Ardito Cataldo. Tutti coratini antifascisti e schedati.
Al coraggioso sarto fu assegnato il confino a Lucito, località sperduta nella provincia di Campobasso, assieme ad altri coratini. L’esperienza durerà fino al 5 dicembre 1941 quando verrà rimpatriato a Bari e quindi a Corato.