La vicenda del “Diamond”, nell’ambito della complessa procedura originata dal fallimento del precedente proprietario, si è conclusa con l’assegnazione della struttura all’imprenditore privato – il gruppo Cannillo – a fronte del tentativo di acquisizione da parte dell’Amministrazione Comunale. La questione tiene banco da diversi giorni, polarizzando l’opinione pubblica che sembra dividersi fra sostenitori della parte pubblica e fautori dell’iniziativa privata, fra improbabili filocapitalisti e sedicenti filocomunisti, fra i seguaci del Sindaco e coloro che a ragion veduta o per partito preso gli sono contrari.
A nostro sommesso avviso la chiave di lettura potrebbe essere differente e fondata semmai sulla diversa visione dei rapporti che regolano o dovrebbero regolare la vita sociale e collettiva nel nostro Comune e, più in generale, nel nostro Paese.
Noi, per parte nostra, ci riconosciamo in una società in cui i rapporti tra le parti in un contratto o in una controversia sono modellati sul diritto romano e quindi definiti in un codice: se una parte, ricomprendendo anche la parte pubblica, può vantare un diritto su un bene questo diritto deve essere definito e codificato – non semplicemente asserito dall’interessato – e in tale ottica bisogna muoversi nei tempi e nei modi dovuti per ottenerne il riconoscimento. In maniera più esplicita, la parte pubblica – quand’anche si dichiari portatrice di un interesse collettivo – non ha di per sé una prevalenza sulla parte privata se non nei casi esplicitamente previsti dalla legge.
Di diverso avviso ci appaiono essere il nostro Sindaco e i suoi seguaci che sembrano semmai rifarsi ad alcuni istituti tipici del diritto germanico secondo il quale il rapporto tra le parti ha natura essenzialmente pattizia (non codificata) ed è ratificato dall’approvazione dell’assemblea dei pari che compongono la tribù. Se il Sindaco o la CAP (la coalizione di De Benedittis) dichiarano l’interesse pubblico non ci sono né codice né procedure, ma una volontà che si impone in quanto mossa da un’entità che è superiore anche al giudizio espresso dal Tribunale competente.
E’ così che le affermazioni del Sindaco ripetute più volte e in toni più o meno perentori – a fronte dell’interesse pubblico il privato deve cedere il passo – sono assolutamente normali per i componenti della sua tribù che approvano ogni azione del loro leader battendo le lance sugli scudi, ma fanno sobbalzare o per lo meno lasciano interdetti coloro che si rifanno al diritto romano.
Il Sindaco infatti appare imboccare una strada molto sdrucciolevole quando intende o propone o spera di allontanare gli offerenti da un’asta giudiziaria sia pur in nome di un supposto interesse pubblico, una strada che sembra evocare il reato che nel nostro codice è individuato come “turbativa d’asta”. Quando si configura la “turbativa d’asta”? Quando chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti impedisca o turbi una procedura di gara ovvero ne allontani gli offerenti. Non intendiamo affermare che il Sindaco nel dire quel che ha detto abbia commesso un reato, ma semmai che il suo modo di porsi dimostra ignoranza del nostro diritto e una visione non chiara di quelli che sono i limiti e i confini della sua azione.
Sulla base di queste premesse poi, il Sindaco – ritenendo violato il suo diritto di capo vichingo – nella notte tra i giorni 8 e 9 novembre, qualche ora dopo l’aggiudicazione del “Diamond” a favore della parte privata, è sembrato richiamare con un suo post pubblicato sui social media un altro istituto del diritto germanico, il cosiddetto “giudizio di Dio”, secondo il quale un cavaliere che dica il falso non può vincere in singolar tenzone contro un cavaliere che dica il vero. Il Sindaco, infatti, rimuginando sui fatti del giorno e abbandonandosi al suo notturno vagheggiare dal quale già in passato sono fioriti post che hanno tenuto in apprensione la Città, non ha trovato di meglio che pubblicare un video in cui Totò recita la sua più celebre composizione: “’A livella”.
Cosa intendeva dire il Sindaco e a chi pensava? Voleva essere un “Ricordati che devi morire” lanciato ad un immaginario interlocutore o un “Ci rivedremo a Filippi” indirizzato ad un avversario? Fatto sta che il post, dopo aver ricevuto anche il “cuoricino” di approvazione da parte di Valeria Mazzone, l’ineffabile Presidente del Consiglio, è stato poi rimoso nel volgere di poco tempo dal suo autore che probabilmente si è reso conto di essere andato troppo oltre o di aver espresso un’allusione che poteva essere facilmente e diversamente interpretata. Il dubbio in ogni caso rimane.
A questo punto della storia dovremmo anche cercare di capire che ne viene ai cittadini di Corato da tutto questo turbinio di milioni e scintillare di spade: un pugno di mosche e alcuni interrogativi. Ci chiediamo infatti se un altro Sindaco, diversamente consapevole del suo ruolo, avrebbe potuto condurre meglio l’iniziativa, cercando non la contrapposizione ma la collaborazione con la parte privata. Siamo attraversati infine da un altro interrogativo: è giunto il momento che De Benedittis torni ad insegnare filosofia? Diciamo insegnare filosofia perché praticare la filosofia è una cosa diversa.