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27 gennaio: un viaggio nella Memoria

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16 gennaio 2023. Per ogni nuova partenza c’è sempre un po’ di indecisione. In metà
mattinata crocchi di ragazzi iniziano a ritrovarsi nel punto di raccolta. Alcuni sguardi sono sereni, altri tradiscono preoccupazione; tutti, comunque, sono carichi di aspettative. Il nostro drappello del liceo Oriani viene unito con altri due gruppi provenienti da Bari e dalla Calabria. Dopo gli immancabili contrattempi si parte: quasi due giorni in cui, nella cornice di un paesaggio che muta rapidamente, i ragazzi si scambiano le prime timide battute che in breve tempo diventano intesa, osmosi perfetta.
All’arrivo, già stanchi, siamo scaraventati nella realtà: veniamo accolti da camere sobrie, spartane, anche scomode. Ci sono letti a castello, poche sedie, qualche sgabello, appena quattro docce da condividere tra studenti e professori. Pure qualche insegnante mugugna.
È chiaro che si tratta di accantonare momentaneamente i piccoli agi della vita ordinaria per fare di necessità virtù.
Le visite partono dal quartiere ebraico, cuore della città antica, e dalla fabbrica di Oskar Schindler. Prima dello sterminio, ci dice la guida, la Polonia era il paese con la più alta presenza di ebrei in Europa; oggi, invece, ve ne sono pochi, molti dei quali sono
indifferenti alla religione o atei.
Poi ci spostiamo nel campo di prigionia di Płaszów, intorno al quale sembra che la vita
scorra indifferente: incrociamo persino qualche abitante della zona che porta a spasso il suo cane.
L’indomani, all’uscita dall’ostello, iniziano a cadere lenti sulle nostre teste i primi fiocchi
di neve. La temperatura è più bassa rispetto al giorno prima. Sul bus, invece, la neve inizia a scendere copiosa. Arrivati all’ingresso di Auschwitz le risatine infantili e i giochi con le palline di neve di alcuni ragazzi più piccoli cedono il passo a un raccoglimento, oserei dire spirituale, quasi ad assecondare con i respiri i refoli di vento che spirano su cumuli di silenzi.
Il reticolato che circonda il campo della morte fa già intuire quello che troveremo. Poi
l’epigrafe all’ingresso: “Arbeit macht frei” (in tedesco “Il lavoro rende liberi”). Scopriamo l’assurdo, una delle opzioni umane. Auschwitz I è un grumo di edifici prebellici ben allineati, all’interno dei quali si dipanano sui corridoi e nelle stanze migliaia di foto di deportati assieme a montagne di capelli, scarpe e effetti personali. Ci sono anche foto di bambini smagriti che stringono il cuore. La guida spiega punto per punto ciò che stiamo vedendo. Le lacrime iniziano a rigare i visi di alcuni ragazzi. Altri trattengono forte il respiro. La drammatica domanda agostiniana affiora: “Unde malum?” Auschwitz II – Birkenau non è da meno: una gigantesca distesa bianca inframezzata da fili spinati e baracche pericolanti e tagliata nel bel mezzo da una linea ferroviaria. Nel punto di raccolta dei deportati, dice la guida, un medico in maniera sommaria decideva chi doveva vivere (per qualche settimana) e chi andava a morire.
Parlo a lungo con i miei ragazzi di ciò che hanno visto, delle sensazioni provate. Ci
confrontiamo sul senso del ricordo, sui drammi di ieri ma anche su quelli di oggi e
banalmente sull’importanza di studiare la storia. Mi viene da rispondere a uno dei miei
ragazzi: “In fondo la storia è una mappa che ci aiuta a orientarci nel presente”.

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