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Giulia: da Corato alla Svezia per fare ricerca sul femminicidio – Una laurea a pieni voti

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Intervista alla amabasciatrice palestinese in Svezia

Giulia Masciavè, classe 1994, sa cosa vuole, anzi a dirla tutta, le idee chiare le ha sempre avute, “perché il giornalismo è sempre stato e sarà la mia passione”, non a caso sceglie l’indirizzo Scienze della Comunicazione presso il Liceo Classico “Alfredo Oriani” dove si diploma nel 2013.

Le fondamenta si sa sono importanti perché è su queste che Giulia inizia a edificare i suoi progetti. Subito dopo la maturità frequenta l’Università degli Studi di Trento, dove si laurea a luglio 2016 in Studi Internazionali con una tesi sui fallimenti delle operazioni di pace condotte dalle Nazioni Unite.

Le fondamenta reggono, eccome se reggono!

La sua passione è in cima, ed è lì che deve arrivare ma occorre un master di specializzazione in studio dei mass media e della comunicazione e appena scopre della Lund University e del suo master vola in Svezia per la sua seconda laurea.

La sua tesi presto pubblicata dal suo dipartimento si intitola “Til Death Do Us Part: Representations of men in the italian mainstream press coverage of femicide” (“Finchè morte non ci separi: rappresentazioni degli uomini nel racconto del femminicidio della stampa italiana mainstream)

 

Sarà Giulia in questa intervista a raccontarci la sua intensa esperienza.

 

D: Giulia, con la laurea raggiungi un traguardo importante per la tua vita. Ti poni subito degli obiettivi credi che ci siano dei buoni presupposti per raggiungerli?

R: Il mio grande obiettivo è quello di continuare a fare ricerca- magari prendendo un dottorato in Italia o all’estero- su temi quali: giornalismo, news e potere, e discorso. Per adesso, però, sto cercando un lavoro coerente con il mio curriculum accademico e lavorativo. Entrare appieno nel mondo del lavoro è molto complesso, ci richiedono sempre più conoscenze e specializzazioni che è difficile acquisire tutte durante il percorso di studi, a meno che tu non provenga da una università privata. Ma come dice sempre un mio amico: “Le opportunità di lavoro sono come gli autobus: se ne perdi una, stai tranquilla che dopo un po’ ne arriverà un’altra”.

D: Trascorre un anno dalla laurea triennale e ti trasferisci in Germania dove svolgi il Servizio Volontario Europeo presso una scuola primaria. Da dove e come nasce questa scelta? Di cosa si tratta?

R: Questa scelta di prendermi un anno di pausa tra la prima e la seconda laurea nasce dal mio amore per la Germania. Ero stata in Erasmus a Brema e mi ero innamorata della vita lì e mi ero ripromessa di imparare in qualche modo il tedesco per poter poi trasferirmi e studiare full-time lì. La proposta di un SVE in Germania è avvenuta per caso e l’ho subito accettata, e non mi sono mai pentita di tale scelta. Lavorare con i bambini è stato il metodo più veloce per imparare il tedesco e in più ho avuto l’opportunità di viaggiare e di conoscere più a fondo tradizioni e modi di fare tedeschi.

D: Poi la decisione di frequentare la Lund University in Svezia per un master in comunicazione. Come mai?

R: Avevo già parlato della mia intenzione di studiare di nuovo alla Bremen University. Mentre facevo domanda lì, pensai che avevo bisogno di un’altra opzione in caso a Brema non accettassero la mia domanda. Volevo un master di specializzazione in studio dei mass media e della comunicazione, perché il giornalismo è sempre stato e sarà la mia passione. E così ho scoperto della Lund University e del suo master. Quando scoprii di essere stata presa sia a Brema che a Lund, non nascondo che entrai in crisi, perché si trattava o di seguire il cuore o l’ignoto. Ho seguito quest’ultimo e sono stata fortunata, perché ho incontrato un corpo accademico stimolante e preparato, per non parlare dei miei colleghi e delle mie colleghe che considero di famiglia.

D: Ci parli meglio della tua esperienza universitaria all’estero?

R: La mia esperienza è stata delle più positive, perché mi sono sempre circondata di persone che sono cresciute assieme a me sia dal punto di vista accademico sia da quello più umano. Sono felice delle opportunità che mi sono state concesse; alla Lund University tutto ruota attorno a quello che noi studenti e studentesse vogliamo: abbiamo associazioni, sindacati, giornali, eventi che in altre città europee non esistono, come il Lundakarnevalen, un festival a mo’ di carnevale che capita ogni quattro anni e che è gestito interamente dal corpo studentesco. Io l’ho raccontato per conto del giornale per cui lavoravo, ho amato fare la reporter perché ho potuto intervistare studenti, professori, e persino l’ambasciatrice palestinese in Svezia. E’ stata una bellissima esperienza, che già mi manca.

D: La tua tesi è di grande attualità, purtroppo quasi quotidianamente oggetto di cronaca, il femminicidio o meglio come la stampa tratta questo tema. Spiegaci, ma soprattutto, come mai questa scelta?

R: Questa scelta nasce da un dialogo virtuale che ho avuto con chi gestisce pagine Facebook che si occupano di narrazioni differenti e di femminismo; nasce dalla nostra rabbia comune nel leggere con assidua frequenza di donne, ragazze, bambine ammazzate e di un linguaggio della stampa che tentava di creare un filo empatico tra i lettori e le lettrici e il responsabile del femminicidio. Ho incanalato questa rabbia attraverso una raccolta e un’analisi lunga e meticolosa degli articoli dei principali quotidiani italiani e di spiegare come si potrebbe migliorare la narrazione di un tema violento ma anche delicato.

D: Ti sei fatta un’idea anche del mondo della donna nel Nord Europa rispetto a quello italiano per esempio?

R: Vivendo e parlando con ragazze scandinave quotidianamente ho avuto modo di farmi qualche idea e viceversa loro sul panorama italiano. L’anno scorso fu approvata una legge che definisce violenza sessuale tale se la donna e/o l’uomo non hanno dato il loro esplicito consenso all’atto. In Italia se non porti prove concrete non ti credono e ti insultano pure. Se ci spostiamo sul piano lavoro, non solo i datori e le datrici di lavoro non ti discriminano se sei incinta, ma nelle descrizioni delle offerte del lavoro ci tengono a specificare che il congedo parentale è incluso e garantito da contratto. Parlo di congedo parentale, perché in Svezia è nella norma vedere un padre prendersi il congedo alla nascita del/la figlio/a in quanto si crede nella gestione condivisa delle faccende familiari.

D: Probabilmente sei già con lo sguardo oltre confine, ti dispiacerebbe dover lasciare la tua terra? Vorresti che qui ci fossero più possibilità? Cosa manca qui, secondo te?

R: Non mi dispiacerebbe ritornare all’estero se capitasse una buona opportunità. Non dimentico mai le mie radici, io so sempre chi sono e quanto studio c’è stato per lavorare e laurearmi e devo rendere onore a tutti questi sacrifici cercando la possibilità migliore. Qui le aziende serie e competenti non mancano, serve solo che esse abbiano magari più fiducia in noi giovani, anche se non abbiamo tanta esperienza. Se hanno pazienza e non vogliono lasciarci emigrare, devono tornare a scommettere di più su di noi.

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