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Un’economia che resta benedetta nonostante tutto

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a cura di Franco Bastiani

                Foto: san Giuseppe, patrono degli artigiani, portato in processione da imprenditrici,  il 1° maggio 2012, a Grumo Appula. Copertina della pubblicazione “Associazioni di artigiani di ispirazione cristiana”. 

C’è una fibrillazione diffusa per la nostra economia che ha contagiato tutti e tutti se ne dolgono.

Partiti politici, gruppi di potere, osservatori, esperti,  semplici cittadini non parlano d’altro, e quando non ci pensano, è la stampa ad accendere quotidianamente la miccia e a preparare  l’esplosione (rectius: la litigiosità ovvero lo scontro) sociale.

Siamo alla canna, siamo al collasso, siamo sull’orlo del baratro: sono le espressioni che frequentemente si leggono, si sentono, si riportano e che danno dell’Italia una cattiva immagine, di Paese da cui sarebbe bene scappare.

I problemi ci sono e tanti ma,  per fortuna, non pochi guardano alla faccenda con sufficienza o con  stoica sopportazione, constatando che lo spread sale ma scende, che la disoccupazione è sempre fra alti e bassi,  che  l’export tira alla grande…; poi viene l’estate e le vacanze mettono per un po’ a tacere  (o quasi) ogni diatriba.

Per tornare  a settembre, il mese notoriamente definito caldo, per la riapertura delle fabbriche e per la ripresa delle vertenze.

E allora? Allora va considerato che la situazione economica del nostro Paese, con un debito pubblico altissimo e con una ricchezza privata ragguardevole, ha bisogno di aggiustamenti prodotti da intese (vivaddio se arrivano!) in grado di dare alla gente la fiducia che ora non ha, portandola ad investire, cioè a porre oculatamente  in circolo parte di quanto possiede, di quanto custodisce in attesa di tempi migliori.

Spesso vien da pensare che ci facciamo del male da soli, con incredibile disavvedutezza, trascurando di ricordare la storia passata, le vicende vissute, le speranze dei nostri nonni e dei nostri genitori non rimaste deluse in tempi veramente bui, segnati da dolori, lutti, povertà estrema, seguiti ad una guerra tragicamente  scoppiata a livello mondiale .

Fu Pio XII a pensare che la ripresa doveva partire dai piccoli, dalle piccole e affidabili realtà imprenditoriali  sparse su tutto il territorio nazionale: piccoli artigiani, piccoli coltivatori diretti, piccoli commercianti, tutti  da aggregare, da organizzare e da assistere nella loro evoluzione economica.

Nacque in tal modo l’associazionismo nelle diocesi, sorse così il movimento artigiano di ispirazione cristiana, su cui fecero leva forze politiche, istituzioni pubbliche e, in particolare, vescovi e sacerdoti oltre che uomini di punta del Governo e del Parlamento.

I fatti successivi al 1945 e i prodomi di quelle che furono vere e proprie crociate  per risanare l’Italia uscita stremata e semidistrutta dal conflitto, sono il focus della mia ricerca: “Associazioni di artigiani di ispirazione cristiana” presentata nel Salone san Nicola della Camera di Commercio di Bari, pubblicata da Di Marsico Libri, con una testimonianza dell’arcivescovo Francesco Cacucci e una prefazione dello storico Stefano Milillo.

Dal congresso fondativo dell’associazionismo artigiano cristiano,  tenutosi a Roma nei gg. 18,19 e 20 ottobre 1947, e nei difficili anni a seguire, è narrata l’azione silenziosa e concreta del clero della nostra terra vicino alle categorie produttive che si ispiravano al magistero sociale della Chiesa.

Il lavoro da anteporre al lucro, il rispetto della dignità della persona, la giusta mercede agli operai, il riconoscimento di diritti naturali in capo ad ognuno, con la riproposizione della parabola dei lavoratori della vigna citata dall’evangelista Matteo: chiamati a distanza di ore gli uni dagli altri, tutti i lavoratori furono retribuiti in ugual misura, in una visione apparentemente distorta ma sostanzialmente equanime poiché riferita alla primarie e insopprimibili esigenze di vita di ogni uomo.

Questo è progressivamente venuto meno con il trascorrere dei decenni.

I principi sani  della solidarietà e della condivisione sono passati in secondo piano superati dalle logiche del guadagno sfrenato, complici tecnologie che hanno pensato e, purtroppo pensano ancora, di sostituire l’uomo nelle dinamiche del lavoro.

Un lavoro da preordinare, quindi,  con sistemi smart, con algoritmi, con opinabili statistiche che, nella fenomenologia universale, minacciano di ridurre l’uomo a marginale dettaglio.

Di qui la centralità del materialismo e del relativismo, in una dimensione atemporale e spersonalizzante che alimenta lo sconcerto soprattutto nei giovani.

I vescovi, pionieri della grande avventura della piccola imprenditoria di Terra di Bari, sono ricordati con foto che li ritraggono accanto ad artigiani nelle loro sedi associative e, con loro, vengono ricordati i sacerdoti, alias consulenti ecclesiastici, artefici di preparazione morale, di  sensibilizzazione ad un’economia sana, ad una condotta conformata ai valori dell’onestà, della trasparenza, delle regole per una convivenza veramente civile.

Ma sono ricordate anche le donne che seppero contribuire, in ambito domestico, a rinsaldare la preziosità del loro impegno accanto all’uomo, sostenendolo nella bottega di famiglia o gestendo esse stesse quelle micro imprese su cui si sono ramificate le attività tipiche che costituiscono la sostanza delle nostre esportazioni.

Perché una pubblicazione di tal genere? Perché la rievocazione di fatti, persone, personaggi e particolari di tanti anni fa, con qualche loro proiezione nel recente passato e anche nell’attualità?

Per bloccare la liquefazione di una cospicua fetta del nostro patrimonio di ieri, che non può essere sacrificato e consumato sul desco dell’oblio, quello su cui si disperde la nostra capacità di dialogo, di sereno confronto, di accordi che possano sospingere  i meccanismi dell’economia a ricercare quel bene comune in grado da solo di rasserenare le coscienze individuali e di pacificare i popoli.

L’economia è in affanno perché tutti noi siamo in affanno, in perenne corsa verso non meglio identificati traguardi, in competizione con il tempo che rende remoto il passato prossimo, che porta a ritenere abbondantemente superato ciò che ha avuto inizio poco fa.

E se decidessimo di disertare i salotti virtuali per un incontro al bar o in piazza?

E se guardassimo con altri occhi alle questioni economiche partendo dall’uomo e dalla sua opera manuale e intellettuale?

Forse constateremmo che lo stato di salute del nostro Paese può essere migliorato sensibilmente  senza prevaricazioni, senza manovre occulte e rammentando con fede che, tutto sommato, lassù qualcuno ci ama .

 

 

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