Home Ricorrenze 10 maggio, San Cataldo: il patrono di Corato nelle antiche carte

10 maggio, San Cataldo: il patrono di Corato nelle antiche carte

0

In questa occasione, gli Amici dei Musei di   Corato – APS vogliono condividere   antiche testimonianze del culto del vescovo di Rachau e la narrazione del rinvenimento dei suoi resti mortali.
La nostra socia Maria Francesca Casamassima ha preso in considerazione questo tema nell’ambito di “Storie di Chartae”, rubrica di approfondimento che, assieme a   mARTEdì, Le parole del Patrimonio e Musei Amici, sono pubblicate periodicamente sulla pagina dell’Associazione.
In particolare, ha analizzato due volumi settecenteschi a stampa, guida per officianti e fedeli alla liturgia in onore del Santo, patrono di Corato dal 1681.
Il primo volume, edito nel 1760, è stato composto dal tipografo Gennaro Roselli a spese del canonico coratino Nunzio De Mattis e sembrerebbe richiamare la composizione del  Proprium sanctorum   o   Sanctorale , cioè quella parte del messale che contiene le feste dei santi ordinate secondo il calendario liturgico.
L’ Officium festi et inventionis S. Cataldi, corretto e ripurgato dal cardinale Bonifacio Caetani, arcivescovo di Taranto tra il 1613 e il 1617, aveva ottenuto la “licenza di stampa” nel 1681 dalla Sacra Congregazione dei Riti a firma di Cesare Facchinetti (1679-1683).
Il secondo volume, stampato come il precedente a Napoli nella tipografia di Antonio Varriento, si apre con lo stemma del vescovo tranese Gaetano Maria Capece che, sontuosamente, certifica la stampa del testo. Esso presenta la struttura dell’ Officia propria , attinente alla Liturgia delle Ore, e raccoglie gli Uffici dei Santi venerati nella diocesi di Trani secondo l’ordine cronologico.
L’ Inventio Corporis , ossia il racconto del ritrovamento delle reliquie di san Cataldo, è pressoché simile in entrambi i volumi.  Nella nomenclatura agiografica sono designate inventiones quelle scritture che descrivono il ritrovamento delle reliquie dei santi.
Chi era san Cataldo?
Nato in Irlanda nella prima metà del secolo VII, fu vescovo per la sede di Rachau.
Dopo alcuni anni di ministero, Cataldo lasciò la diocesi e l’Irlanda per compiere un pellegrinaggio in Palestina: la leggenda dice che, mentre era lì, fu indotto da un’apparizione a recarsi in Italia dove avrebbe dovuto riportare  ad catholicae fidei firmitate   il popolo di Taranto che, già un tempo convertito dall’apostolo Pietro e dal suo discepolo Marco, era tornato agli antichi errori. Dopo un viaggio fortunoso, toccato il litorale adriatico dell’Italia, Cataldo sbarcò ad Otranto e si diresse a
piedi verso Taranto.
Qui venne eletto vescovo per comune consenso del clero e del popolo, dopo un miracolo compiuto al suo arrivo, alla porta della città. Da allora, per quindici anni, sino alla morte, resse la diocesi di Taranto con sollecitudine di padre e di apostolo, dando esempio di pietà, zelo religioso e rigore di vita. La predicazione del Vangelo e la conversione dei pagani furono gli obiettivi della sua opera pastorale.
Consumato dalla vita di penitenza e di sacrificio, morì l’8 marzo di un anno imprecisato, tra la fine del secolo VII  e gli inizi  dell’VIII. Il corpo, composto in un  sepulchrum marmoreum mirae pulchritudinis, venne solennemente inumato sotto il pavimento del duomo di Taranto,  in corrispondenza dell’attuale battistero.
Il monumento, del quale si era perduto il ricordo dopo la distruzione di Taranto compiuta dai Saraceni nel 927, affiorò il 10 maggio 1071, durante i lavori di scavo per le fondamenta della nuova cattedrale voluta dal vescovo Drogone.
Avvisato che si era scoperta sotto il pavimento  dell’antica basilica  tumbam marmoream satis pulchram  – così come riferisce l’autore dell’ Inventio  –, Drogone, alla presenza di una gran folla di​ clero e di fedeli, accepto fossorio, tumbam aperit , vide  sanctas reliquias, rubicundiores (ut legitur) ebore antiquo. Crucem inveniunt auream, nomen sancti Latinis litteris designantem.
Riconosciute nelle reliquie i resti del vescovo Cataldo, Dragone fece collocare l’arca sotto l’altare maggiore della nuova cattedrale.
Le reliquie, di cui fu compiuta una ricognizione nel 1107 dal vescovo Rainaldo, vennero traslate nel 1151 in una cappella particolare, fatta costruire dall’arcivescovo Geraldo. In seguito, nel 1657, furono collocate in una nuova e più sfarzosa cappella (il cosiddetto  cappellone) fatto erigere da Tommaso Caracciolo, dove sono tuttora venerati.
Il ritrovamento e le successive traslazioni delle spoglie mortali del vescovo Cataldo furono accompagnate da miracoli e segnarono le tappe della propagazione del culto   del santo che, proclamato patrono di Taranto, fu oggetto, a partire dal secolo XII, di una venerazione assai diffusa e ancora viva in tutta Italia, soprattutto nell’area centromeridionale e insulare, oltre che in Irlanda, sua patria d’origine.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.